«Etiopia: dopo 4 giorni di silenzio, mi prese per mano…»

«Dicono che è arrivato il Primo di Aprile, presso un Centro che si occupa di orfani sieropositivi: un piccolo bambino pieno di sorrisi. Il suo nome è B., sieropositivo, ha 3 anni. Il pomeriggio in cui è arrivato una delle assistenti dell’Istituto lo ha portato a giocare con tutti gli altri bambini. Sedeva aggrappato a una mazza da baseball, tutto solo, e così continuava a fare nei giorni seguenti. Rispondeva in Amarico quando gli adulti gli parlavano, ma il resto del tempo lo passava in silenzio.

Capii da subito che sarebbe diventato il mio progetto. La sua tristezza era troppo per me, così cercai di diventare sua amica. Un giorno, mentre saliva sul sedile di un triciclo con altri bambini intorno che cercavano di salire al posto suo, mi avvicinai a lui e lo confortai mentre gridava impaurito. Un’amica ha cantato con me una canzoncina con il suo nome nei versi, finché ha fatto un mezzo sorriso. Poi spesso l’ho visto che sorrideva mentre giocavo ad acchiappare gli altri bambini, ma si fermava quando si accorgeva che lo guardavo. Finché un giorno è successo. Dopo quattro giorni di silenzio, mi prese la mano. Camminavo tenendo per mano un bambino e tesi la mano a B., e lui la strinse. E restammo fermi tutti e tre mano nella mano, senza muoverci.

Divenne un altro bambino. Correva in cerchio nel cortile, per conto suo, agitando le mani e strillando come se qualcuno lo rincorresse. Diventò la mia ombra da allora, e quando si sedette sulle mie ginocchia, nell’aula del Centro, non finiva di guardarmi a bocca aperta, ignorando quel che succedeva.

Una settimana dopo, qualche bambino si ammalò. Entrai nella sala dei piccoli degenti e mi misi accanto ai bimbi, sussurrando loro “Ti voglio bene”, tenendoli per mano. Si sentivano tutti soli, ammalati com’erano, anche se erano circondati dai loro amichetti e dalle assistenti. Mi misi accanto a B. e gli sussurrai che gli volevo bene. Lui tossì, e con le lacrime che gli scorrevano sul viso disse: “awadashalo”. Quando udii la sua vocina rauca dirmi che mi voleva bene, mi convinsi: trovare due genitori per lui.

Ero partita per l’Etiopia come volontaria. Ma non mi sarei mai aspettata un giorno di iniziare a volere così bene ai bambini. Ma B., sette mesi dopo circa, stava già aspettando di sapere il giorno in cui due genitori adottivi sarebbero venuti a portarlo nella loro famiglia. Così, la mia esperienza da volontaria in un Istituto ha cambiato tutto di me. Ho incontrato dozzine di bambini che non vogliono altro che trovare una famiglia. Penso a loro ogni giorno e prego per loro che la trovino, perché nessuno che conosca lo merita più di loro».

(Dal sito statunitense From HIV to Home)