«Un figlio adottivo, chi me lo fa fare?»

Su 27esima Ora, il forum femminile di Corriere.it, appare un articolo che commenta il calo di richieste di adozione internazionale dal punto di vista degli alti costi.

La mia amica me l’aveva detto così, sapendo di scioccarmi, mentre guardavamo i nostri figli – dieci anni – che giocavano sulla neve: «Una volta ho pensato: se l’avessi saputo, non avrei adottato un figlio. Figurati, ci vedi senza di lui?». No, impossibile. Eppure sapevo che era stata dura per la nostra coppia di amici, con il loro bambino, desiderato, adorato, che faceva fatica a trovare il suo posto in famiglia, a scuola, come se il loro amore non bastasse. Lei ora confessava l’inconfessabile, e questo la rendeva forte.

«Per uscire dalla crisi occorre il coraggio di ammettere le difficoltà, riflettere sulle possibilità, confrontare le esperienze, elaborare nuovi modelli. Ma la sfida è troppo complessa per essere risolta nel privato». Così scriveva Silvia Vegetti Finzi sabato 14 gennaio sul Corriere della Sera, a proposito del calo delle richieste di adozioni: 20/30 per cento in meno negli ultimi due anni, una flessione che non si spiega soltanto con la crisi economica. Secondo Giovanna Teti, dell’associazione Ciai, che si occupa di adozioni. «L’incertezza sociale, il senso di precarietà diffuso, la paura per il futuro, vanno contro la progettualità di avere un figlio».

Adottivo o biologico, non cambia. Quella paura è di tutta la società, non solo dei singoli, non solo delle coppie adottive. La precarietà economica rende difficile immaginare il futuro, ma c’è dell’altro. La famiglia si sta trasformando: monoparentale, multietnica, separata, ricostituita, omosessuale. Il nocciolo duro resta il rapporto con il figlio. Che si rivela turbato da paure, incomprensioni, conflitti.

In questo quadro, le persone che scelgono l’adozione – un percorso ad ostacoli, già dallo sfinente iter burocratico – non andrebbero sostenute come una delle parti più vitali nostra società?

Mentre viene spontaneo chiudersi, per preservare il proprio equilibrio in una situazione di instabilità, c’è chi si apre, accoglie figli che non conosce, e li ama ben sapendo che non è una passeggiata. E che un giorno, come alla mia amica, potrebbe capitare di pensare: chi me l’ha fatto fare? E continuare ad amare.

(Da Corriere.it, Maria Luisa Villa, 18 gen 2012)