«Come convincere la CAI ad aprire le adozioni in Nepal?»

Pubblichiamo la lettera di una commentatrice a proposito delle adozioni in Nepal. Un reponsabile Ai.Bi. spiega la situazione del Paese e le operazioni di sostegno all’infanzia attivate presso famiglie e bambini.

Maria scrive:

Spero proprio che riusciate a convincere la CAI a riaprire le adozioni in Nepal. Noi abbiamo adottato in Nepal una bellissima bambina nel 2010 ed abbiamo visto le condizioni difficili in cui operano la maggior parte degli orfanotrofi. È davvero uno scandalo che non si riesca a trovare una soluzione soprattutto perché il Nepal ha dimostrato di volere cambiare il processo dell’adozione e di renderlo più trasparente.

Vi prego fate in modo che altri bambini trovino una casa e possano avere un futuro. Se i bambini restano negli orfanotrofi, purtroppo molti di loro moriranno per banali infezioni intestinali o entreranno in ben altri commerci…

Carissima Maria,

riconosco nella tua preoccupazione la nostra e quella di molte altre famiglie.

Abbiamo già predisposto alcune azioni per poter proporre un confronto alla Commissione, dal quale possano scaturire nuove garanzie di dare una famiglia ai bambini orfani del Nepal, nel rispetto delle procedure.

Vi aggiorneremo sugli sviluppi futuri.

Nel frattempo continuiamo la nostra attività sul Paese, che ad oggi ci vede presenti nella Municipalità di Jadibuti, una delle periferie più povere della capitale Kathmandu, lungo le rive del fiume Manhara.

Le autorità sono in grado di rispondere solo in maniera parziale alla situazione del Paese. Le infrastrutture, come le linee elettriche e gli acquedotti della valle, sono limitate in quanto a capacità e i servizi sanitari, educativi e sociali risultano non efficienti.

In questa zona abbiamo sviluppato il supporto ad un centro diurno, il Centro Paanj, intorno al quale il progetto finanziato dalla Commissione per le Adozioni Internazionali persegue i seguenti obiettivi:

1. Contribuire a prevenire l’abbandono minorile nella Valle di Kathmandu.

2. Promuovere servizi di tipo comunitario alternativi all’istituto, quali risposte efficaci e maggiormente consone ai bisogni evolutivi del bambino.

3. Contribuire a prevenire sia la mortalità infantile sia la diffusione di patologie che colpiscono l’infanzia.

4. Favorire l’uscita dalla miseria dei nuclei familiari della comunità di Jadibuti, specie di nuclei monoparentali o di giovani coppie.

5. Promuovere l’accesso all’istruzione a favore dell’infanzia in difficoltà e di genitori poveri senza istruzione.

Il progetto, in via di conclusione, lascerà il posto ad altri futuri.

È di questi giorni, infatti, la presentazione di un progetto alla Conferenza episcopale italiana che si propone di potenziare l’offerta formativa in assistenza sociale per l’infanzia, erogata da due scuole partner del progetto, al fine di migliorare le competenze dei futuri operatori sociali in Nepal: 

  • Prevenire l’abbandono di minori da parte di nuclei familiari in difficoltà attraverso efficaci processi di accompagnamento e sostegno; 
  • Favorire l’accesso all’affido familiare e all’adozione dei minori già in istituto al Kinship Care, quali misure fondamentali per rimuovere una condizione di marginalità sociale ed assicurare la dignità filiale tramite l’esercizio del diritto alla famiglia; 
  • Promuovere l’inserimento sociale di giovani con un significativo trascorso in istituto, i cosiddetti “care leaver”, affinché venga evitata una condizione di esclusione sociale.

Alberto Pazzi, responsabile area estero Asia di Ai.Bi. Amici dei Bambini