Adozione internazionale. “A che mi serve un ente autorizzato?” E se tornassimo al fai da te? Il risultato della campagna diffamatoria in atto

adozione-a-distanza2L’azione congiunta di alcuni mezzi di comunicazione e dell’attuale vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali stanno avvolgendo di fosche nubi l’operato degli enti autorizzati. Ne sono la dimostrazione, solo per citare i casi più clamorosi, le inchieste “bufala” del settimanale “l’Espresso” e della trasmissione di Rai Tre “Presa Diretta”, oltre all’annullamento dei rapporti di collaborazione tra la Cai e gli enti stessi negli ultimi 3 anni. Tale e tanto è il discredito gettato sugli enti, a partire dal 2014, da Silvia Della Monica e dalle diverse campagne mediatiche portate avanti sui giornali e in tv, che non c’è da stupirsi se nelle famiglie italiane si sviluppi una certa diffidenza sull’operato di questi soggetti che, per legge, sono tenuti ad accompagnare le coppie nel percorso adottivo. Nei giorni scorsi Ai.Bi. ha ricevuto questa lettera, che riportiamo di seguito integralmente, decisamente sintomatica di questo clima:

 

Quello che sto sentendo in questi giorni mi sconvolge e quello che sto scrivendo non è polemica, ma è frutto di una profonda angoscia interiore.

Faccio una premessa: una delle ragioni per cui quando ricevemmo il decreto di idoneità all’adozione internazionale aspettammo alcuni mesi prima di dare mandato era che eravamo terrorizzati dall’idea che i bambini che ci avrebbero abbinato potessero non essere realmente in stato di abbandono, ma sottratti ingiustamente alle loro famiglie.

Per questo abbiamo letteralmente martirizzato di domande sia il primo che il secondo ente a cui ci siamo rivolti. Non volevamo adottare a ogni costo!

In questi giorno ascolto e leggo che gli enti non devono indagare e non devono accertarsi in primis e poi garantire alle coppie che i minori siano realmente adottabili, che non siano stati sottratti illegalmente alle loro famiglie. Addirittura la convenzione lo vieterebbe.

A questo punto mi chiedo: a cosa serve un ente autorizzato? Perché devo pagare 15.000, 20.000, 30.000 euro?

Devo farlo perché mi preparino all’adozione internazionale o al Paese? Lo possono fare i servizi sociali se debitamente preparati.

Lo devo fare perché mi traducano e spediscano i documenti? Un buon traduttore può farlo.

Devo farlo perché mi seguano nel post adozione? Come ben sappiamo noi genitori adottivi, pochi lo fanno e anche questo può essere fatto dai servizi sociali se messi in condizione.

Devo farlo perché mi seguano nel Paese di adozione? E’ sempre possibile che, tramite la CAI, invece di indicare gli enti, si indichino le Autorità Centrali a cui rivolgersi e i nomi di avvocati e traduttori sicuri di cui servirsi in loco. Del resto anche prima della Convenzione dell’Aja e dell’istituzione degli enti si adottava. E non mi si dica che prima c’era il rischio traffici!

Visto che un ente non può darmi la certezza che dietro la mia adozione non ci sia del marcio allora perché non darmi la possibilità di rivolgermi direttamente a quelle autorità che devono garantire l’”adottabilità” del minore e farmi risparmiare un bel po’ di soldi e di tempo?

Tanto con quello che abbiamo visto succedere in Congo, in Kirzikistan, in Etiopia chi di noi genitori adottivi può più essere sicuro che un giorno non suoni qualcuno alla nostra porta a reclamare i nostri figli con tutti i diritti di un abuso perpetrato?

Io spero vivamente che si arrivi a un riassetto totale delle adozioni, ma purtroppo sono molto scettica, gli interessi in ballo sono troppi e pesano molto di più dei bambini.

(Lettera firmata)

 

Davanti a lettere come questa, è necessario ricordare che Ai.Bi. in prima persona ha condotto, negli anni 2000, una intensa lotta finalizzata a ottenere una legge che prevedesse l’obbligo, per le coppie intenzionate a realizzare un’adozione internazionale, di rivolgersi a un ente autorizzato. La ragione di questa lotta stava nella profonda fiducia che Ai.Bi. riponeva nella capacità degli enti di accompagnare adeguatamente le coppie prima, durante e dopo l’incontro con il loro figlio e di mettere fine al turpe mercato che il “fai da te” aveva scatenato nell’adozione internazionale. Così si arrivò alla legge 476 del 1998. Attualmente l’Italia è fra i pochi Paesi al mondo in cui vige l’obbligo per le aspiranti coppie adottive di affidarsi a un ente.

Ma a fronte di campagne denigratorie come quelle di questi ultimi 3 anni, forse è il caso di ripensare un po’ il sistema e di mettere in discussione questo obbligo. Un possibile modello alternativo potrebbe essere quello francese che prevede 3 diverse possibilità per gli aspiranti genitori adottivi: rivolgersi a un ente autorizzato, affidarsi all’agenzia pubblica nazionale (Agence Française de l’Adoption) oppure procedere con il cosiddetto “fai da te” mediante propri consulenti legali. Come detto, quest’ultima possibilità era prevista anche in Italia prima dell’approvazione della legge 476 e a essa ricorreva l’80% degli aspiranti genitori adottivi.  In questo modo si lascerebbero le coppie libere di scegliere a quale dei 3 canali rivolgersi. Interpelliamo ora i lettori di Aibinews e chiediamo loro di esprimere un parere in proposito:

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