Adozione internazionale. Il buco nero dell’Italia: tutti i Paesi tranne il nostro hanno pubblicato i dati del 2014. Statistiche falsate da una Cai paralizzata da 2 anni

portaMentre tutto il mondo si guarda allo specchio e si confronta per cercare di cogliere le ragioni di un fenomeno globale, l’Italia resta chiusa nella sua stanza, al buio, senza concedersi la possibilità neppure di capire ciò che accade in casa propria. L’andamento delle adozioni internazionali nel nostro Paese da due anni è un mistero. Almeno ufficialmente. Perché la nostra Commissione Adozioni Internazionali non pubblica i dati dal 2013. Ma, del resto, che cosa aspettarsi da un’Autorità Centrale ormai cronicamente paralizzata?

Il 1° dicembre 2015, la Newscastle University, in Gran Bretagna, ha diffuso un rapporto dettagliato sulle adozioni internazionali realizzate nel mondo, analizzando nel dettaglio la situazione in tutti i principali Paesi di origine e di destinazione dei minori adottati. Mettendo in luce come la crisi dell’accoglienza adottiva prosegua a livello globale. Peccato che in tutte le tabelle che corredano il rapporto, nella colonna relativa al 2014, alla voce “Italia” compaia un desolante “n/a”.

Tra i primi 14 Paesi di accoglienza dei bambini adottati, il nostro è l’unico a non aver ancora pubblicato i dati del 2014. Le proiezioni effettuate da Amici dei Bambini all’inizio del 2015, sulla base delle cifre fornite da quegli enti autorizzati che avevano diffuso i propri dati sui loro siti, parlavano di circa 2.200 minori adottati entrati in Italia dal 1° gennaio al 31 dicembre 2014. Un numero che confermerebbe il secondo posto mondiale del Belpaese in fatto di accoglienza. Peccato che, più di un anno dopo, non possiamo disporre di nulla più che di quelle proiezioni. Sappiamo invece che gli Stati Uniti detengono ancora il primato con 6.408 minori accolti, che la Francia per il secondo anno di fila ha fatto meglio della Spagna (1.069 contro 824 nel 2014, dopo i 1.343 contro 1.191 del 2013), che gli iberici – tradizionalmente terzi in questa speciale graduatoria – scivolano anche sotto al Canada, che nel 2014 ha adottato 905 bambini stranieri. Sappiamo soprattutto che, dei primi 24 Paesi di destinazione, quasi tutti hanno fatto registrare un calo rispetto all’anno precedente. Si salvano, facendo segnare tra l’altro incrementi minimi, solo 4 Paesi del nord Europa: Svezia, Norvegia, Finlandia e Islanda. La crisi globale dell’adozione internazionale dice che dal 2013 al 2014 i minori accolti sono calati del 30,73%, passando da 16.147 a 11.185. Ma sono statistiche in parte falsate, proprio dalla mancanza dei dati italiani.

Così come la mancata pubblicazione da parte della Cai dei dati italiani finisce per falsare, anzi rendere impossibili, le statistiche sui Paesi di origine. Non a caso, su questo fronte, il rapporto della Newscastle University si ferma al 2013. Una lacuna particolarmente grave perché, per alcuni Paesi di origine, l’Italia era la principale terra di accoglienza dei bambini orfani e abbandonati. In questo senso, perdono praticamente ogni senso le statistiche relativi a Paesi come Polonia, Ungheria, Lituania, Burkina Faso e Colombia, nelle cui tabelle di riepilogo, quel “n/a” alla voce Italia sul 2014 è un silenzio assordante.

Assordante perché grida forte il bisogno di spiegazioni che la Cai deve a tutto il settore dell’adozione internazionale in Italia. Quella Cai che, negli ultimi due anni, ha di fatto perso il suo carattere collegiale, che sarebbe invece alla base di un’istituzione che si fa chiamare “commissione”. Una sola riunione in quasi 24 mesi. Per il resto, solo decisioni prese da una sola persona che, paradossalmente, incarna il doppio incompatibile ruolo di presidente e vicepresidente. Nel frattempo, nessuno ha ascoltato la voce degli enti, delle associazioni familiari, dei Paesi di origine con le cui Autorità Centrali non si organizzano incontri o, se lo si fa, lo si fa di nascosto. Il tutto avallato da un governo che, più e più volte interpellato sulle varie disfunzioni che ammorbano l’adozione internazionale in questi anni, quasi sempre ha scelto la stessa soluzione: non rispondere alle domande.