Adozioni: la vittoria sul cancro e sulla burocrazia

Vittoria ha avuto un tumore del seno a 26 anni. Una volta guarita, ha scelto con suo marito Riccardo di adottare un figlio. La sua esperienza ha rappresentato una vera novità: in Italia adottare un bambino dopo aver superato un tumore appare ancora un iter lungo, difficile, tortuoso. Vittoria ha deciso di raccontare la sua esperienza per lanciare soprattutto un messaggio di speranza a tutte le donne guarite, che vorrebbero diventare mamme, ma sono spaventate o vengono scoraggiate da una burocrazia spesso «insensibile».

«Riuscire ad adottare Andrea è il più fantastico dei trionfi: ho vinto il cancro e sono riuscita a realizzare il mio desiderio più grande, essere mamma» sottolinea Vittoria. Forse non è l’unica, ma nessun’altra mamma ha per ora reso pubblico un evento analogo. «I medici con me sono stati chiari: avere un figlio dopo il tumore non è impossibile, ma bisogna lasciar passare almeno cinque anni dall’intervento chirurgico, per precauzione. E sapere che può anche andarti male. Io ci ho sempre creduto e dopo l’operazione ho iniziato a contare i giorni che mi separavano dal “traguardo”». Vittoria era giovane e il suo fisico resistente aveva reagito bene alle cure oncologiche, quando si sentivano finalmente pronti la sorte sembrava essere dalla parte sua e di Riccardo: dopo un solo mese di “tentativi” lei rimane incinta. «Invece il peggio doveva ancora arrivare: improvvisamente il cancro è tornato, più aggressivo. Non mi ha dato scelta e i medici non mi hanno lasciato nessuno spiraglio: era impossibile portare a termine la gravidanza. Se mi fossi sacrificata, rinunciando alle terapie, sarebbe stato un tentativo inutile. Per me e per lui».

Poi, dopo un lungo calvario per le cure, il tumore scompare per non ripresentarsi mai più. «Ma questa volta si era portato via una parte di me – continua Vittoria -. Senza un aiuto psicologico non ce l’avrei mai fatta. E poi c’era Riccardo: ha saputo starmi vicino, prendermi per mano, consolarmi. Come tutte le grandi prove, se non ti annientano ti rendono più forte. Così è successo a noi».

Poi la vita prende il sopravvento e Vittoria, che prima si considerava guarita, ora si sentiva una malata cronica. «Una condizione che ti porta necessariamente a riconsiderare alcune scelte fondamentali, ma non a rinunciare ai desideri più grandi», spiega. In linea teorica avrebbe potuto rimanere incinta di nuovo, ma i medici lo sconsigliavano e il rischio per la sua salute era elevatissimo. Così ha deciso che l’adozione avrebbe potuto essere la strada giusta. E tuo marito? «Piano piano, dopo notti di discussioni, dubbi, confronti, anche lui ha maturato il mio stesso desiderio. E così, ancora una volta mano nella mano abbiamo iniziato questa nuova avventura».

La “gestazione” è durata quasi tre anni (il limite massimo, dopo il quale bisogna ricominciare l’iter di richiesta per l’adozione ex novo). Accade purtroppo, ma questo caso è stato particolarmente “travagliato” perché Vittoria e Riccardo non hanno mai nascosto la malattia. Il che, ovviamente, ha fatto in modo che le richieste e gli accertamenti per l’idoneità si moltiplicassero. «Nei tribunali le domande di adozione per chi si è lasciato alle spalle una patologia grave si scontrano con molti pregiudizi – commenta Elisabetta Iannelli, avvocato specializzato e vicepresidente dell’Associazione italiana malati di cancro (Aimac) -. “Ripassi fra cinque anni” è una frase molto comune, peccato che si possa avere un bimbo con meno di 12 mesi solo se i genitori hanno al massimo 45 anni: molte persone quei cinque anni non li hanno». La legge, è ovvio, tutela i minori e prevede che la salute dei genitori non pregiudichi il diritto del bambino ad avere genitori sani, che gli possano stare accanto il più a lungo possibile. Poi tutto sta nella valutazione del singolo caso. «Così come si calcolano le condizioni economiche e sociali della coppia, sono previste per tutti certificati sanitari e visite psicologiche e psichiatriche – precisa Iannelli -. Tutto viene rivisto dal medico legale del tribunale. La domanda a cui bisogna rispondere per un’adozione però è una soltanto: è ragionevole affidare un bimbo a queste due persone?». Se uno dei due coniugi è un ex-malato troppo spesso le richieste sconfinano nell’inutile e nell’accanimento. Ma Vittoria e Riccardo ce l’hanno fatta: «È stata durissima: umiliazioni, discriminazioni. Nei confronti di chi è stato malato di tumore resta ancora purtroppo, da parte di molti, un pregiudizio di fondo. Ma noi ci siamo presi Andrea e una bella rivincita: un ottimo assistente sociale e una psicologa davvero eccezionale, nella loro valutazione, ci hanno dato “la lode”. Hanno spiegato che il nostro percorso così accidentato ci ha portati ad affrontare la sofferenza con equilibrio e che abbiamo sviluppato una sensibilità e un entusiasmo verso la vita che chi è in buona salute non possiede, perché li dà per scontati».

(Fonte: Corriere.it)