Cosa c’è di sbagliato nelle comunità educative tanto da volerle chiudere?

Buongiorno,

Sono una mamma affidataria e recentemente mi è capitato di leggere alcuni articoli relativi alla “diatriba” sulle comunità educative: chiuderle o non chiuderle. Personalmente credo che non sia giusto lasciare i bambini nelle comunità, soprattutto quelli più piccoli dei 6 anni. Questo tipo di strutture, secondo me, deve poter esistere ma soltanto per ospitare i ragazzi temporaneamente, finché non si riesce a sistemarli nelle famiglie. Da quanto ho capito, invece, le comunità educative verranno completamente chiuse entro il 2017. Potrei capire il perché di questa soluzione così radicale?

Grazie per l’attenzione,

Luisa

 

riccardi

Cara Luisa,

immagino che abbia avuto modo di leggere il Manifesto “La Carezza della Famiglia” di Amici dei Bambini in cui si afferma che nulla può sostituire l’accoglienza familiare: ogni bambino ha diritto ad una famiglia sempre, a prescindere dall’età. Sembra, in effetti, che invece il manifesto, recentemente presentato, del Cnca (Coordinamento nazionale Comunità di accoglienza) e altri vada esattamente dalla parte contraria: la famiglia o la comunità rispondono comunque ai bisogni di un bambino allontanato dalla sua famiglia. Le comunità lo farebbero in quanto la relazione tra educatore e minore sarebbe di “tipo familiare”. Cosa si intenda con questo termine però non è poi così chiaro. Noi rimaniamo dell’idea che la relazione genitoriale sia ben altro dalla relazione educativa e di cura che un pur bravo operatore può instaurare con il bambino. Sicuramente un genitore non è part-time! È un riferimento certo, costante e continuo.

È vero, ci sono situazioni così compromesse che l’inserimento in famiglia affidataria potrebbe non essere la risposta giusta; per questo Ai.Bi. propone la Casa Famiglia in cui una famiglia volontaria accompagnata dalla professionalità di operatori può farsi carico anche delle situazioni più pesanti e complicate. Affermo questo con certezza perché è quanto succede ogni giorno nelle nostre case famiglia.

Noi affidatari, che crediamo nel valore insostituibile della famiglia per ogni bambino, dobbiamo farci sentire! Dobbiamo raccontare le nostre fatiche ma anche le gioie e i successi a cui assistiamo nell’accompagnare per un po’ un bimbo in difficoltà. Dobbiamo attrarre altre famiglie: quando saremo tante allora non ci saranno più scuse per abbandonare un bambino in comunità fino alla maggiore età.

Anche l’aspetto economico, soprattutto in un periodo di tagli come questo, non va sottovalutato. Sappiamo bene che le rette delle comunità educative non sono quelle denunciate a sproposito da alcuni giornali, ma è altrettanto vero che una famiglia affidataria “costa” molto meno.

Certo che se l’idea di un servizio è collocare un minorenne in comunità educativa e non seguirne il progetto delegando alla comunità stessa la gestione (e la responsabilità), la soluzione diventa allettante soprattutto alla luce della mancanza di risorse umane nei servizi sociali.

Perché allora non ampliare la collaborazione tra associazionismo familiare ed enti pubblici nella gestione degli affidi? L’associazionismo sarebbe portatore di risorse umane, ed economiche, che darebbero senza dubbio respiro a tutto il sistema. Oltre a portare il valore insostituibile del calore familiare.

 

Cristina Riccardi

Membro del Consiglio Direttivo di Ai.Bi. e referente politico del settore Affido