Cosa fare per evitare i morti in mare? In molti lo dicono ma nessuno lo fa: perché?

profughi siriani

Mentre infuria ancora sui social e sui media cartacei e tv la polemica e il dibattito tra chi approva la pubblicazione della foto del piccolo Aylan e chi ritiene, invece, che sarebbe più rispettoso e meno ‘osceno’ astenersi dal farlo, intanto una sola è la verità. Aylan è morto, Come tanti altri bambini più o meno grandi di lui e tanti adulti (padri, fratelli, madri..ma forse le loro foto sconvolgono meno?).

Allora l’unica cosa su cui è lecito interrogarsi è: riuscirà la tremenda immagine di Aylan riverso sulla spiaggia di Bodrum, a smuovere finalmente le coscienze dei ‘potenti’ della terra? O passato il momento mediatico delle dichiarazioni, ognuno torna alla propria “quotidianità”?  Riuscirà Aylan a fare sedere attorno ad uno stesso tavolo i grandi dell’Europa  e prendere realmente delle decisioni concrete?

La domanda, quindi, è una sola. Cosa fare per evitare i morti in mare?

La risposta non è difficile: creare nei vari Paesi di crisi una rete di avamposti di assistenza e accoglienza dei profughi richiedenti asilo, inserirli in un programma di sicurezza gestito da operatori umanitari internazionali grazie ai quali raggiungere, percorrendo dei corridoi umanitari con mezzi di trasporto protetti, i Paesi di destinazione: l’Italia o altro Paese europeo.

Questo in estrema sintesi la proposta che arriva da più parti, finora inascoltata e che Ai.Bi., Amici dei Bambini fa propria, sviluppandola in 3 punti.

L’idea è quella di creare degli avamposti umanitari lungo i confini dei Paesi del Mediterraneo in crisi,  punti gestiti da organismi internazionali, dove si possano presentare i profughi, chiedere il permesso d’asilo e svolgere tutte le pratiche per entrare legalmente in Europa  utilizzando i transfert sicuri (traghetti e aerei).

“Oggi la richiesta d’asilo politico come rifugiato politico avviene nei Paesi d’arrivo – dice Andrea Moroni, responsabile settore cooperazione internazionale e interventi di emergenza- in questo modo le coste italiane vengono letteralmente prese d’assalto da migliaia di migranti che in maniera confusa e disordinata e a rischio della propria vita arrivano sui barconi in balia degli scafisti. Un viaggio nel corso del quale vengono sottoposti ad ogni tipo di tortura e violenza”.

L’idea è di spostare i centri per la richiesta d’asilo dalle coste italiane nelle linee di confine dei Paesi di crisi d’origine permette di “mettere ordine tra chi ha diretti all’asilo e chi lo chiede in modo strumentale  per entrare in Europa pur non avendone diritto- continua Moroni -, inserirli in programmi di sicurezza ad hoc e in quanto tali strapparli dai barconi e dalle torture degli scafisti facendoli arrivare legalmente in Italia”.

In sintesi, la proposta si articola in 3 punti:

–          Raccolta delle richieste d’asilo negli avamposti umanitari lungo i confini dei Paesi di crisi dove il profugo viene accolto dai vari attori umanitari (rappresentanti di Ong, Governi, Nazioni Unite…)

–          Valutazione e concessione della richiesta d’asilo a chi ne ha diritto; conseguente “matching” del profugo con il Paese di destinazione disponibile ad accoglierlo o ricongiungimento familiare immediato, quando è possibile.

–          Viaggi sicuri con transfer da Paesi di crisi a Italia e da qui eventualmente negli altri Paesi europei.

Per quanto riguarda l’accoglienza dei profughi al loro arrivo in Italia, Ai.Bi. ribadisce il suo no ai grandi centri di accoglienza stile Cara di Mineo a favore di quelli piccoli con una “capienza” massima di 20 profughi.

Quelli troppo grandi dove vengono ammassati centinaia di migranti, uomini, donne e bambini – precisa Moroni – dimostrano tutta la loro inadeguatezza in fatto di garanzie delle misure minime di giusta accoglienza. Questa si identifica solo nei piccoli centri: gli unici in grado di ammortizzare gli oneri e le ricadute sul territorio e limitare il disagio dei profughi ospiti. E’ l’unico modo umano di fare accoglienza in termini di impatto sociale e umano”.