Don Mazzi: far crescere i bimbi nei loro Paesi, ecco la vera carità

Pubblichiamo un editoriale scritto da Don Mazzi sul caso di Habtamu – il 13enne di origine etiope -, uscito su Gente del 16 gennaio. In riferimento al grande beneficio portato in Italia per trent’anni dall’adozione internazionale, Don Mazzi – secondo una prospettiva di carità – suggerisce che, in certi casi, l’adozione non è affatto la soluzione migliore: certi ragazzi bisogna farli crescere nei loro Paesi d’origine. Proponiamo l’articolo.

Don Mazzi scrive: “Per chi conosce le storie dei figli adottati, non può non aver seguito con interesse e trepidazione la corsa nostalgica e impossibile del tredicenne Habtamu, divorato dalla voglia di tornare alle radici della sua esistenza. Novara-Etiopia non è una passeggiata e l’avventura è finita a Napoli con un cappuccino.

Abbiamo per troppo tempo sottovalutato lo scatenamento delle forze adolescenziali, talmente violento da distruggere l’intero impianto educativo, pazientemente costruito dai genitori nel periodo infantile e più la coppia sarà forte e positiva e prima lo scatenamento arriverà potente e improvviso.

L’enorme e velocissimo sviluppo psicofisico detta le sue leggi e i suoi disastri. In poche settimane riemergono bisogni, esigenze, domande, impulsi, curiosità prepotenti e incontrollabili.
Se poi i figli non sono naturali ma adottivi, il quoziente di rischio e di profondo disagio salirà al quadrato (come si dice in algebra). Siamo partiti una trentina di anni fa, con la voglia di adottare i bambini dimenticati negli svariati istituti. Ci siamo, poi, allargati alle creature del terzo mondo e sono nate decine di associazioni. La causa di tale ventata benefica è stata la coscienza cattolica e la proverbiale affettività italiana. Siamo arrivati a pensare che l’adozione fosse il migliore investimento per quei paesi e per noi, fosse addirittura un dovere.

Nel frattempo le profonde mutazioni di costume hanno bruciato i tempi canonici dell’infanzia e della preadolescenza, travolgendo costumi, abitudini e tradizioni.
I genitori anticipati dai dodicenni-uragano, si trovano oggi totalmente spiazzati.
Una lettura più attenta e meno emotiva dovrebbe obbligarli a pensare che non sia sufficiente dare ai figli naturali e no, una casa, una formazione scolastica, un’educazione di base. Fino ad una decina di anni fa, tutto ciò si chiamava; “fare bene il mestiere dei genitori”. Dobbiamo ricordare che i figli di domani saranno più figli del mondo che, figli del nostro paese. Le abitazioni raffinate, comode, borghesi, per le quali le nostre donne perdono tempi infiniti e i nostri uomini investono fior di stipendi, fanno parte di uno schema famigliare vecchio stile.

Solo la forza di carattere, le relazioni profonde, liberatorie e meno vincolanti, l’adeguata attenzione alla seconda nascita, la svestizione della marmellata buonista che caramella l’intero fenomeno educativo, permetterebbe di scoperchiare i giacimenti di felicità e la profonda richiesta di autonomia che implode con l’adolescenza, ma che noi anziché pilotarne l’esplosione, l’abbiamo ulteriormente fatta arrugginire, moltiplicando regolette, moine, falsi valori, e gesti ripetitivi inutili.
È normale che i nuovi giovani, non solo quelli adottati cerchino le loro origini, nei modi più personali, più avventurosi e impensati. Fatti come quelli di Novara saranno all’ordine del giorno e ci obbligheranno per un verso a sdrammatizzare e per un altro ad attrezzarci.

Resto comunque del mio parere senza svalutare lo straordinario fenomeno dell’adozione, dichiarando che la gente e soprattutto i bambini devono nascere, vivere e crescere nei loro paesi. La politica vera e l’educazione vera sarebbe quella di maturare quei paesi, di aiutarli a crescere ma soprattutto convincere le grandi organizzazioni mondiali che l’obiettivo non è deportare, o assistere i paesi poveri lasciandoli sempre poveri. Il diritto alla vita ha orizzonti, spazi, e sogni che vanno ben oltre ai container e alle giornate mondiali della FAO”.

Don Antonio Mazzi