Messina: i primi casi di affido internazionale dei minori stranieri non accompagnati

famiglia vinci 400 286L’affido familiare per Minori stranieri non accompagnati funziona. La storia di Abdiraman, ragazzo somalo, accolto da Nino e Caterina Vinci è la testimonianza che questi ragazzi, come dice il Papa, cercano solo vita e felicità.

Abdiraman, arrivato su un barcone a dicembre 2013, è rimasto a casa Vinci per 14 mesi, tempo sufficiente per imparare l’italiano, conseguire la licenza media, imparare il mestiere di pizzaiolo e ottenere il permesso di soggiorno per cinque anni. Poi ha scelto di raggiungere un cugino che lavora in Germania.

Al di là dei traguardi oggettivi, il bilancio di questa accoglienza è nelle parole dei genitori affidatari, che lo hanno accolto, investendo tempo e risorse economiche. Perché il contributo economico previsto per chi accoglie in affido un minore, i Vinci lo hanno percepito per sei mesi, fino a quando il ragazzo non è diventato maggiorenne.

Il signor Nino Vinci, rispetto alla recente tragedia commenta: “ Son spiazzato da tutto quello che sta accadendo. La nostra risorsa più grande è la nostra famiglia e quella mettiamo a disposizione”. Si sente quasi in colpa Antonino, per non poter allargare le braccia a molti più ragazzi. Lui che andato via Abdiraman, ha subito accolto Pa, un ragazzo gambiano, neomaggiorenne.

Era arrivato in Sicilia all’età di 17 anni, poi era stato trasferito a Roma in una comunità educativa per Minori stranieri non accompagnati, ma allo scadere della minore età, si era ritrovato in mezzo a una strada. Adesso sta seguendo le ‘orme’ di Abdiraman: scuola, calcetto e vita di famiglia. Caterina sottolinea: “Sono ragazzi profondamente grati: aiutano in casa come possono e soprattutto ci hanno davvero accettato come loro genitori. Pa poi è particolarmente espansivo. Ogni giorno almeno venti volte al giorno mi ripete: ‘I love you, mama’”.

Dall’altra parte del Mediterraneo il modo di essere ‘famiglia’ è diverso: non è così scontato che i bambini ricevano baci, abbracci e carezze, sottolinea la signora. E così la vita quotidiana in Italia all’interno della famiglia, impressiona molto i ragazzi stranieri.

A chi chiede loro perché una coppia di trentenni (35 lui, 31 lei), con un figlio piccolo, decide di complicarsi la vita accogliendo un Misna, da accompagnare ora in questura, ora al tribunale per i minorenni, ora ai servizi sociali, all’unisono rispondono sereni: “Sono solo ragazzi che vogliono una seconda chance nella vita”.

A chi obietta che forse la fanno facile, Caterina e Antonino replicano: “E’ solo questione di voler amare oppure no. Voler accogliere o scegliere di girarsi dall’altra parte. Nostro figlio Daniel, adottato in Congo, è la chiava di lettura di questa storia. Lui accoglie questi ‘fratelli di pelle’ con il suo entusiasmo, e questo fin da subito- quando è difficile capirsi parlando in italiano- semplifica i rapporti, mette sottotitoli ai sorrisi reciproci, riduce distanze che possono esserci per esempio tra persone di religione diversa”.

Ma il signor Vinci rimarca: l’essere musulmani non ha rappresentato un ostacolo al dialogo, l’importante è che ci sia rispetto da entrambe le parti. Entrambi i coniugi Vinci concordano poi su un punto: “Nei due progetti d’affido, abbiamo offerto una casa, ma abbiamo ricevuto tanto di più da questi due ragazzi che davvero amiamo come figli”. E quando decidono di andar via? “Si soffre per il distacco, ma si gioisce della forza con cui affrontano la vita”.