Figli di nessuno

care leaversIn gergo tecnico si chiamano care leavers. Sono i maggiorenni non adottati che escono dalla comunità, quasi sempre soli e senza certezze. Catapultati nella vita adulta e nel mondo, spesso restano in strada e si perdono. Eppure per aiutarli basterebbe poco. Ne parla in questo articolo, che  riportiamo integralmente, pubblicato sul settimanale “Gioia” la giornalista Rossana Campisi che ha intervistato sull’argomento il presidente di Amici dei Bambini Marco Griffini e il responsabile della cooperazione internazionale di Ai.Bi. Andrea Moroni.

 

A 18 anni, i più fortunati sono stati già adottati, per gli altri è “liberi tutti”: i ragazzi in affido devono lasciare la famiglia affidataria e chi non è né adottato né in affido fa quello che può. C’e chi torna dalla famiglia d’origine, Mara invece ha finito gli studi e ora fa l’operatrice dell’infanzia. Questa scelta è stata possibile perché vive in Lombardia, una delle poche regioni italiane (come l’Emilia Romagna) in cui, tra enti locali e privati, i finanziamenti non mancano e i servizi sociali, in accordo col giudice e la famiglia d’origine, possono concedere il “prosieguo amministrativo”, un tipo di assistenza fino a 21 anni che prevede inserimento nel mondo del lavoro e alloggio, un paracadute il grande salto nella vita adulta.

Il Centro ausiliario minorile di Milano (Cam) è uno degli enti più attivi in questa delicata fase di “inserimento”: oltre a gestire quasi 500 comunità sparse in nove province lombarde, offre ai maggiorenni non adottati borse di studio e lavoro (dei 34 borsisti del 2015, il 90 per cento ha trovato un’occupazione), ospitalità in B&B protetti e varie forme di supporto anche dopo i 21 anni: il progetto si chiama Rifornimento in volo perché, quando i ragazzi spiccano il volo dalle comunità, serve sempre una mano.

Di mani ne servirebbero tante in realtà, soprattutto perché, tra i ragazzi allontanati dalle famiglie, i non adottabili sono la grande maggioranza, più di nove su dieci, e tra loro ci sono disabili, i “troppo grandi” come Mara (le adozioni in genere riguardano i piccoli), quelli che una famiglia ce l’hanno anche se disastrata, e quindi per legge non possono essere adottati. «Impossibile dire quanti siano i ragazzi bloccati in questo limbo», precisa Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. e padre di Greta (italiana, adottata a quattro anni), Valentina (africana, adottata a 24 giorni) e Francesco (brasiliano, adottato a un mese dalla nascita). «Aspettiamo una banca dati nazionale da tempo, le legge la prevede ma tutto è fermo: dei 29 tribunali dei minori, solo 11 hanno uno schedario informatizzato», aggiunge Griffini.

Chi esce da una comunità senza un’adozione in ogni caso ha una vita complicata. Ma il numero di giovani in questa situazione potrebbe essere inferiore: nel 2014, delle 10.000 richieste di adozione nazionale ne sono state accolte solo mille, e delle 4.000 internazionali solo la metà. «Chissà quante altre si potevano sbloccare», sbotta ancora Griffini. L’Istituto degli innocenti di Firenze parla di 30.000 minori fuori famiglia (più della metà in comunità, il resto diviso tra parenti affidatari e famiglie estranee affidatarie). Ma di quel che accade loro dopo i 18 anni si sa poco o nulla. «Il 30-40 per cento cerca di tornare dalla famiglia d’origine. Se il disagio in casa persiste invece, il giudice può decidere di proseguire l’assistenza in qualche forma fino ai 21 anni», dice Enrico Moretti, Statistico dell’Istituto. Ma la possibilità reale di farlo dipende dai soldi e dalle strutture a disposizione nei singoli comuni. Dove va bene si fa, dove va male i ragazzi maggiorenni cercano di arrangiarsi. Senza contare che, tra gli stranieri, è alta la percentuale di quelli che fuggono dalle comunità anche prima dei 18 anni.

In gergo tecnico, si chiamano care leavers i maggiorenni non adottati che escono dalle comunità: migliaia di giovani che perdono l’assistenza all’infanzia senza avere mai saputo che cosa significhi sentirsi amati come figli. Chi non ha famiglia non rischia solo di avere problemi materiali di vitto e alloggio. In genere, non recupera l’autostima perduta con l’abbandono,non conosce il calore di una casa come fonte di stabilità. Nei Paesi più poveri, i soldi e i progetti sono pochi e i non adottati si perdono in strada, tra alcolismo e prostituzione. «Alcuni ragazzi non sono adottabili perché arrivano senza essere mai stati iscritti all’anagrafe», racconta Andrea Moroni, responsabile della cooperazione internazionale di Ai.Bi., attiva nel creare corsi di formazione per i minorenni in comunità (dall’America Latina all’Africa). «In questi casi, se aspetti la decisione del tribunale in assenza di informazioni sulla famiglia d’origine, passa troppo tempo e diventi troppo grande per trovare una famiglia adottiva. Noi cerchiamo di sbloccare queste situazioni, e nel frattempo organizziamo stage per i più grandi, li aiutiamo a trovare un lavoro e a restare in contatto tra loro nelle associazioni dei care leavers»’. La cosa più simile a una famiglia che si possono permettere.