Gli eccessi di potere di Silvia Della Monica: senza alcun motivo tolte 11 coppie a “Bambini di Chernobyl onlus”. Immediato ricorso al TAR contro l’azione illegittima della CAI

chernobyl

Nonostante non sia più presidente della CAI, Silvia Della Monica continua imperterrita ad agire come se fosse ancora la “monarca assoluta” del reame, in barba a leggi e regolamenti.

L’ultima vicenda sconvolgente è capitata a l’Associazione “Bambini Chernobyl” Onlus a cui Della Monica, ha avocato 11 coppie adottive senza dare spiegazioni all’ente scelto dagli aspiranti genitori. Un vero e proprio “vizio agendi” allora quello di Della Monica: togliere le coppie dall’oggi al domani.

Contro il provvedimento illegittimo l’Associazione “Bambini Chernobyl”   ha presentato ricorso al TAR. 

Ecco i particolari. Con provvedimento del 16 giugno 2016, comunicato all’ente interessato il 6 luglio tramite il portale intranet SVEVA, “Silvia Della Monica, vicepresidente della CAI (Commissione Adozioni internazionali) in piena autonomia stabilisce che le procedure di adozione internazionale in carico all’ente Bambini di Chernobyl sono proseguite a cura della Commissione per le adozioni internazionali”, ordinando la consegna della documentazione relativa alle pratiche in corso. In esso “la dr.ssa Silvia Della Monica, dichiaratasi Presidente della Commissione Adozioni Internazionali, dichiarando di dover limitare l’attività della Associazione Bambini Chernobyl” ordina all’Ente la consegna della documentazione relativa a 11 famiglie e 13 bambini.

Ma il provvedimento della CAI, come si legge nel ricorso, è del tutto illegittimo e, pertanto, è meritevole di essere annullato”per incompetenza, eccesso di potere e carenza dei presupposti. Infatti, benché vi figuri l’intestazione “la Commissione per le adozioni internazionali”, il provvedimento è stato sottoscritto ed adottato autonomamente dalla “Presidente – Cons. Silvia Della Monica, e non dal Consiglio, che ancora oggi, a distanza di oltre due anni dall’insediamento di quest’ultima, non si è più riunito.

Ovvero un tale provvedimento “può essere disposto esclusivamente dalla  Commissione – precisa il ricorso  – costituita da 22 componenti e non singolarmente dal suo presidente e, segnatamente, dal Vice Presidente delegato”. Solo in caso di assenza, urgenza o impedimento, “il vicepresidente sostituisce il presidente…ed esercita le funzioni che il presidente gli delega …” e “… può adottare  i provvedimenti di competenza della stessa”. 

Nella nota della (vice) presidente Della Monica non vi è, però, nessuna indicazione delle ragioni di urgenza tali  da non permettere la convocazione in tempo utile della Commissione. E che tali ragioni siano inesistenti lo conferma il fatto che “nel provvedimento – precisa il ricorso  – non vi è indicazione alcuno dei motivi che hanno portato alla limitazione così grave dell’attività dell’Ente”.

Per questo in mancanza di indicazione non solo delle ragioni di urgenza, ma anche dei motivi stessi del provvedimento limitativo, “è evidente che il Vice Presidente (Silvia Della Monica ndr) delegato non potesse adottare un provvedimento così grave di competenza della Commissione”.

“Per tali ragioni, la decisione della Vice Presidente viola la normativa – precisa il ricorso – ed è illegittima per incompetenza del Vice Presidente ad assumere un provvedimento riservato alla competenza dell’organo Collegiale”.

E non è tutto. Della Monica era anche priva dei poteri delegati dal Presidente del Consiglio dei Ministri essendo stata conferita la delega delle attribuzioni del Presidente CAI al Ministro per le riforme istituzionali, Maria Elena Boschi. Insomma dal 9 giugno 2016 Della Monica, in quanto vice Presidente CAI non aveva più poteri delegati dal Presidente e, in particolare, non aveva più il potere di rappresentare o di convocare la Commissione.

Ecco perché nel ricorso si parla di “eccesso di potere per insufficienza, perplessità ed illogicità della motivazione; Eccesso di potere per sviamento ed eccesso di potere per contraddittorietà ed abnormità procedimentale”.

Il provvedimento impugnato si segnala altresì “per la totale assenza di qualsivoglia giustificazione della così grave decisione di sospendere le attività dell’Associazione”.  Non si spiega minimamente, infatti, quali sarebbero le ragioni che abbiano indotto Silvia Della Monica ad assumere un così grave provvedimento limitativo.  Si parla di ‘criticità prospettate a questa Autorità dalle Autorità Bielorusse’, “Ma– si legge nel ricorso – quali sono queste criticità? Chi le ha concretamente contestate? In cosa consistono e quando sono state contestate? Non si comprende, ad oggi, quali siano le problematiche ipotizzate”.

Insomma non ci sono specifiche contestazioni e nessun procedimento è stato concretamente svolto. Basti pensare che nessuna istruttoria è mai stata compiuta. Considerato allora che non ci sono motivi del provvedimento restrittivo, questo, come presentato nel ricorso sembra assumere la connotazione di atto di reazione”.

A cosa? Al servizio mandato in onda (ad aprile 2016) da Le Iene che interpellate da alcune famiglie adottive e adottanti dell’Associazione si sono rivolte alla redazione di Mediaset per lamentare la paralisi della CAI, responsabile di ritardi e attese che di fatto hanno bloccato per oltre un anno, il proseguimento del loro iter adottivo con la Bielorussia? Nello stesso servizio, Le Iene intervistano anche il presidente dell’Associazione, Maurizio Faggioni, che conferma le ansie e i tempi biblici patiti dalle famiglie.

Altro elemento che dimostra l’illegittimità del provvedimento sta nel fatto che i suoi effetti sono in contrasto con le procedure stabilite tra Bielorussia ed Italia e con la stessa legislazione bielorussa. Tutte le norme bielorusse di riferimenti prevedono, infatti, che la fase esecutiva delle adozioni sia seguita da un “Ente Autorizzato”.

La CAI ha poteri di vigilanza, controllo e certificazione ma non può dare autonoma esecuzione alle pratiche adottive, non essendo previsto né nella legislazione bielorussa, né nel “Protocollo” di intesa del 2005 (aggiornato nel 2007). Di conseguenza, la CAI non può “proseguire” le procedure di adozione, come invece illegittimamente stabilito nel provvedimento impugnato.

Peraltro la CAI, dopo il provvedimento del 16 giugno, adottato proprio nell’imminenza dell’inizio delle procedure adottive, ha autorizzato tutte le altre associazioni al deposito delle pratiche adottive, in presenza di certificati di abbandono e di documentazione completa. Ma non ha firmato le pratiche della Associazione Bambini Chernobyl, ad oggi uniche a non essere state autorizzate.

Di tutto ciò a farne le spese sono le 11 famiglie e i 13 bimbi, in quotidiana attesa che i loro genitori scendano dalla scaletta dell’aereo per portarli nelle loro nuove case in Italia. Un danno irreparabile quello arrecato a bambini ed a famiglie che, con la spedizione a Minsk di una lista (impedita a causa del provvedimento del 16 giugno) potrebbero riunirsi nell’arco di pochi giorni e che, invece, devono attendere non meglio specificati tempi (si pensi che dal provvedimento è trascorso oltre un mese senza che nessuna disposizione sia stata data).

Lo stesso accadrebbe anche nel caso in cui la CAI decidesse di assegnare le pratiche ad altri Enti (cosa che non ha fatto). In questo caso, infatti, andrebbero predisposti nuovi documenti ed inviati ex novo dalle altre associazioni.

Eppure per realizzare il sogno di questi 13 bambini manca solo l’autorizzazione ad inoltrare i documenti per via consolare (rilasciata alle altre associazioni e non alla ricorrente). Dopo di che le famiglie, nell’ordine di priorità, dettato anche dalla data di scadenza dei documenti inviati, saranno chiamate in Bielorussia per la pronuncia della sentenza di adozione.