Il dramma dell’immigrazione. Ucraino dona la sua vita, ivoriano accusato del massacro di due coniugi. Chiudere subito i centri di accoglienza disumani

centro accoglienza lampedusaAnatolij e Mamadou rappresentano i due volti opposti, estremi, dell’immigrazione. L’uno sarà sempre ricordato come un eroe che ha scelto di sacrificare la propria vita per salvarne altre. L’altro forse è un efferato assassino. Il primo era in Italia con la famiglia: una moglie e due figli che ora lo piangono disperati. Il secondo viveva ammassato insieme ad altre centinaia di migranti come lui in una struttura indegna di essere definita centro di accoglienza. Quell’accoglienza che va profondamente rivista, come le vicende di Anatolij e soprattutto di Mamadou dimostrano.

I giornali di lunedì 31 agosto sono pieni delle loro storie. Eccole, in sintesi. Anatolij Korol era un muratore 37enne  perfettamente integrato a Castello di Cisterna, entroterra nord orientale di Napoli. Aveva lasciato il suo Paese, l’Ucraina,  per dare una possibilità di vita migliore alla sua famiglia. Sabato 29 agosto era appena uscito, insieme alla figlioletta di 2 anni, da un supermercato quando questo è stato preso d’assalto da due rapinatori intenzionati a portare via l’incasso di giornata. Anatolij non ha avuto esitazioni: è rientrato nel supermarket per aiutare i dipendenti, è riuscito a placcare uno dei due malviventi, ma l’altro gli ha sparato a bruciapelo, uccidendolo. Sulla tragica vicenda è intervenuto anche lo scrittore Roberto Saviano, che ha stigmatizzato l’atteggiamento del mondo dell’informazione: “A parte qualche veloce lancio ai Tg – ha scritto su Facebook Saviano – o qualche riga sui giornali, nessun commento importante”.

Qualche centinaio di chilometri più a sud, a Palagonia, provincia di Catania. Vincenzo Solano, 68 anni, viene trovato sgozzato nella sua villetta e sua moglie, Mercedes Ibanez, 70, è anche lei rinvenuta cadavere nel giardino dell’edificio, forse scaraventata giù dal balcone. Il telefonino dell’uomo viene ritrovato nel borsone di Mamadou Kamara, 18enne ivoriato, “parcheggiato” insieme a centinaia di altri profughi nel Cara di Mineo, il centro di accoglienza per richiedenti asilo già da tempo al centro di forti polemiche e di un paio di indagini giudiziarie. All’interno del borsone, ci sono anche dei pantaloni insanguinati, mentre il ragazzo indossava indumenti di Solano. Mamadou viene posto in stato di fermo e quindi portato al commissariato di Caltagirone, dove viene interrogato con l’accusa di duplice omicidio. La chiave di tutto sta probabilmente nelle parole del procuratore di Caltagirone, Giuseppe Verzera, che ha definito “problematica” la gestione del Cara di Mineo. Non è un caso, del resto, se da qualche tempo i poliziotti addetti alla vigilanza del Centro controllano i borsoni dei profughi. All’interno del Cara pare che succeda di tutto, dalla vendita di oggetti rubati alla prostituzione.

Un’ulteriore dimostrazione, quindi, di come i centri in cui i migranti vengono ammassati a centinaia, senza alcun rispetto della loro dignità, diventino facilmente un bacino di criminalità. Qui i profughi sono tenuti senza alcun controllo, del tutto inoccupati, liberi di muoversi da soli o in gruppo nelle zone circostanti e di commettere reati di vario genere. È evidente come questa sia un’accoglienza largamente inadeguata e come, al contrario, quella “giusta” debba necessariamente coincidere con l’ospitalità “familiare”.

Amici dei Bambini torna a ripetere – come fa da quasi 2 anni con il suo progetto “Bambini in Alto Mare” – che i grossi centri come il famigerato Cara di Mineo vadano chiusi una volta per tutte. E che, al loro posto, debba essere promossa l’apertura di piccole comunità con un numero limitato di posti e in grado di accogliere e seguire ogni giorno la vita dei migranti giunti in Italia alla ricerca di una nuova vita. È all’interno di piccoli centri, infatti, che i nuclei familiari possono trovare la serenità necessaria per ripartire, mettersi alle spalle le tragedie vissute e coltivare nuova speranza senza creare problemi alle comunità che li ospitano. Discorso parzialmente diverso per i minori soli, i cosiddetti Misna (minori stranieri non accompagnati) e per i nuclei mamma-bambino. Per loro l’unica accoglienza giusta che li sappia tutelare è quella in famiglia, mediante l’affido familiare o in casa famiglia. Il primo passo quindi è distinguere l’accoglienza dei minori e delle famiglie da quella per i profughi “singoli”. Realizzare queste forme di accoglienza non è un’utopia: la popolazione ha un cuore e lo ha largamente dimostrato con le oltre 1600 famiglie che hanno offerto la propria disponibilità ad Ai.Bi. per l’affido di un Misna.

Un esempio positivo dell’impegno della società civile al fianco dei migranti ci arriva dalla Germania. Non c’è cittadina tedesca che non abbia almeno un progetto per cercare di integrare il più possibile i profughi in arrivo: dagli internet point per permettere ai migranti di restare in contatto con i propri familiari a un sito specializzato nel fornire indicazioni a chi volesse aiutare i profughi nella ricerca di un alloggio o nell’uso della lingua. Iniziative che di certo contribuirebbero a fare dell’accoglienza una missione possibile e a donare serenità reciproca tra migranti e cittadini italiani.