Lettere al Direttore: «Idoneità? Il nostro inferno dura da tre anni»

«Tante coppie soffrono moltissimo e hanno mollato». Benvenuti nel paese dell’adozione reale: cosa fa la burocrazia all’adozione? Che cosa infligge l’iter procedurale – un iter stanco, arretrato rispetto all’Europa e ancora medioevale – allo spirito dell’accoglienza? Dopo aver lanciato la battaglia e lo slogan Tempo-Zero, Ai.Bi. vuole dire tutta la verità ai lettori e affonda il bisturi nel grasso della burocrazia italiana, proponendo in esclusiva l’intervista-odissea di una coppia di una regione del Nord (è d’obbligo la riservatezza), da tre anni e mezzo trattata letteralmente come burattini.

«Non sa quanto io sia felice di questo contatto. Sembra che non interessi a nessuno quanto questo percorso sia difficile e quanto le coppie escano distrutte da anni di indagini assurde». È la voce di Rosaria, mamma-in-forse, eterna aspirante precaria, condannata ai lavori forzati dell’idoneità. «Mio marito ed io abbiamo chiesto il primo Decreto d’Idoneità nel 2001, sia per l’adozione nazionale che internazionale, ma non siamo mai potuti andare avanti perché, non essendoci le risorse, non ce lo potevamo permettere. Dieci anni fa non c’erano ancora gli incontri con lo psicologo, che ti spiega il percorso e ti dà un’idea dei costi. Così scoprimmo che non potevamo permetterci di adottare un figlio straniero. Abbiamo lasciato stare. Per onestà: se non si può, è inutile fare il passo più lungo della gamba.

Poi nel 2008 le cose, per noi, economicamente sono molto cambiate e  abbiamo deciso di rinnovare la nostra domanda di adozione per le internazionali».

L’inizio della fine. Un andirivieni da coniugi-burattini in mano alla burocrazia, fra aule e tribunali, giudici, procuratori, assistenti sociali, riunioni a casa, test, colloqui, questionari singoli e non, psicologi e psicologhe, finesettimana in casa famiglia, l’innocenza delle suore che domandano sorridendo, sulla porta: “Ma allora la bimba più piccola ve la prendete voi?”, senza sapere il terremoto dentro che scatenano queste parole. «Mi dica lei come si fa a “gestire l’emotività”», denuncia Rosaria, citando la raccomandazione che le fecero i Servizi Sociali, quando la inviarono a quattro appuntamenti in una Casa Famiglia, ammonendola di non lasciarsi coinvolgere, perché non sarebbe andata tra minori adottabili.

Rosaria e Carlo infatti, in quel fatidico 2008, non ottennero un bel nulla: nessun decreto, nessuna risposta. L’istruttoria fu bloccata e tenuta sotto ghiaccio per un anno e mezzo. 18 mesi di attesa. Entrati in un gruppo di aiuto (fu allora  che conobbero Ai.Bi.), sono poi stati chiamati dai Servizi nella primavera del 2010, per un paio di incontri conoscitivi, anche uno, in inverno, dal giudice. Dai quali viene fuori che suo marito è persona troppo “riservata”. Non piace. Non può adottare.

E un carattere timido, si sa, innervosisce la burocrazia. Si scopre che la coppia comunque «caratterialmente si compensa», Rosaria, con il suo carattere aperto, fa pendere la bilancia verso il sì. «Passano dei mesi intanto, ci inviano nella Casa Famiglia per fare esperienza. Bimbi che vanno e vengono, non vi dico che esperienza è stata…! Andavamo lì con palloncini, materiali, canzoncine, le suore non ci facevano andare via. Lì ci chiesero, insistendo, se ci prendevamo una bimba piccola, non potevamo, “Ma ci sono bambini più grandi…”».

Una tortura? «Comunque, abbiamo fatto tutto quello che ci chiedevano di fare i Servizi. Naturalmente non hanno cambiato idea né su mio marito, né su niente. I tempi poi sono biblici, bisogna aspettare mesi per avere una relazione. Finché il 19 novembre 2010 ci presentiamo dal giudice, a Bologna. Il giudice si ricordava bene di noi. Abbiamo avuto un colloquio, siamo stati messi in guardia sul tema del maltrattamento ai minori, gli abusi, le difficoltà di apprendimento. Io ho chiesto: sono ormai passati degli anni, siamo stanchi. Non ne possiamo più. Il giudice ci ha risposto che per lui non c’era problema: eravamo più consapevoli, più sicuri di noi stessi. Ci avrebbe aspettato il rinnovo dell’Idoneità».

E invece? «Altri due incontri: sempre le solite cose, i problemi, l’apprendimento, i maltrattamenti», continua Rosaria. Il ricordo è estenuante. «Finché il giudice ci ha rinviati ai Servizi, sempre per questioni caratteriali. “Non è la vostra consapevolezza o la vostra motivazione: è il carattere del marito”. Non soffre di patologie, niente di niente. È “riservato”. Ci hanno sottoposto alla compilazione di una scheda, tre situazioni di comportamento infantile in cui il bambino si può venire a trovare. Separatamente, noi due scriviamo. Successivamente sono venute a casa le assistenti, hanno letto, sono uscite dalla stanza per decidere da sole, ci hanno risposto: ok per la tenacia, ok per motivazione e consapevolezza; hanno fatto a meno di rimarcare il comportamento di mio marito, ma alla fine la relazione – che abbiamo ottenuto dopo nostra telefonata – non ha rispecchiato ciò che hanno detto. Mio marito è “riservato”, ama stare preferibilmente con persone che conosce…».

Rosaria conclude così il racconto del loro tour de force: «Tra il 25 luglio del 2011 e il 13 ottobre scorso, la nostra pratica è rimasta bloccata in Procura. Ora mio marito è atteso venerdì prossimo dal giudice. Abbiamo dato disponibilità ad adottare ovunque sia possibile. Ci rispondono i Servizi: “non in Brasile, non in Russia, siete adatti a certe cose, non ad altre”, “troppa disponibilità”. Con tutte le energie spese in questi tre anni, avremmo reso più che felice un figlio adottivo. Tante coppie soffrono moltissimo per questo e hanno mollato».

Parla Carlo, il marito: «Tutte le volte, a dirmi che sono troppo riservato. Che non parlo, non sono in grado di accudire un bambino. Invece mi troverei bene. Siamo stati quattro volte, tutti i sabati, in una Casa Famiglia, tutto il giorno. Li facevamo giocare. Mangiavamo insieme. Nessun problema. Io non so… desideriamo avere un bambino adottivo da prima del 2001. L’avevamo deciso insieme. Era già un nostro progetto, appena sposati, se non avessimo avuto un figlio, senza sottoporci a inseminazioni. Questo venerdì ho l’appuntamento da solo. Speriamo sia l’ultimo. Altrimenti…».