Quello che non sappiamo (o non vogliamo sapere) sui bambini siriani

Bambino SiriaOgni tanto mi torna alla mente la foto che il mio collega siriano mi mostrò qualche tempo fa, dove si vedeva suo figlio di tre anni addormentato con le mani sulle orecchie. Ci ripenso, perché questa immagine dà la dimensione del dramma che si sta consumando in Siria, nella quasi totale indifferenza del mondo.

Non c’è bisogno di soffermarsi sulle immagini cruente che circolano su internet (in cui pure ho avuto la sventura di imbattermi), per percepire lo strazio e il dolore di centinaia di migliaia di famiglie, un grido silenzioso che morde la carne.

Basterebbe pensare che i bambini, in Siria, si nascondono sotto i tavoli o le nicchie dei muri ogni volta che sentono il sibilo degli aerei. Che piangono senza consolazione fra le braccia dei loro genitori, quando l’esplosione di una bomba nelle vicinanze scuote la loro casa.

Basterebbe pensare che non possono giocare per strada o all’aperto, come fanno tanti loro coetanei in altre parti del mondo, perché potrebbero rimanere uccisi, feriti, mutilati per le conseguenze di un attacco missilistico o di un colpo di mortaio. Perché potrebbero essere presi di mira dal fuoco dei cecchini, che non risparmiano neanche loro. Anzi.

Basterebbe pensare che sono costretti a giocare sottoterra, in spazi considerati più sicuri e al riparo dalle bombe, come la nostra ludoteca di Binnish. A questo proposito, ci raccontano i nostri amici di Syrian Children Relief che molti bambini fanno resistenza, quando i genitori vengono a prenderli a fine giornata. È questo, forse, l’aspetto più toccante: i nostri piccoli non vogliono lasciare quel mondo creato apposta per loro, “a misura di bambino”, perché sanno cosa li aspetta “là fuori”.

I bambini siriani stanno subendo danni incalcolabili, sotto il profilo umano, sociale, psicologico. Ma non troveranno mai spazio sulle prime pagine dei giornali, né raccoglieranno la solidarietà di chi – soprattutto in Italia – si ostina a etichettarli, per pregiudizio e approssimazione ideologica, come dei potenziali terroristi, pronti a sbarcare sulle nostre coste per “attaccarci”.

Forse dovremmo avere paura più di noi stessi e della nostra superficialità, che di loro. Perché loro, in fondo, sono solo bambini.

 

Luigi Mariani
Country coordinator di Ai.Bi. in Siria

 

Ai.Bi. ha lanciato la prima campagna di Sostegno a Distanza per aiutare le famiglie siriane a restare nel proprio paese e continuare a crescere i propri figli in condizioni dignitose, nonostante la grave crisi. Cibo, salute, scuola, casa, gioco: queste le cinque aree d’intervento. Per avere maggiori informazioni sull’iniziativa e per dare il tuo contributo, visita il sito dedicato.