Regione Lazio viola legge 149: la “casa famiglia” svuotata della famiglia

regione_lazio_fotogramma350Con la delibera n. 173 dell’8 aprile 2014, Regione Lazio ha istituito una nuova tipologia di struttura socio-assistenziale a ciclo residenziale denominata “Comunità familiare ad accoglienza mista.

Lo scandalo di questa nuova struttura è che svuota le “comunità familiari” volute dalla legge 149/2001 del proprio significato, ruolo e funzione e replica un modello nel quale l’amore non ha alcun posto.

Le regioni regolano in maniera differente le varie tipologie di strutture di accoglienza per minori, ma solo alcune di esse disciplinano le “comunità familiari” davvero degne di questo nome: le case famiglia, sono comunità gestite da una coppia di coniugi, preferibilmente con altri figli. Al di là di questa tipologia di vera comunità familiare, esistono in Italia le comunità educative e in generale strutture che, seppur utili laddove rispondono ad alcune esigenze di assistenza particolare (es. comunità terapeutiche) non sono in grado di garantire al minore una vera relazione familiare. Bisogna ricordare che la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia individua la famiglia come luogo fondamentale per un equilibrato sviluppo psico-fisico del minore, proprio in ragione del clima di “felicità, amore e comprensione” che solo una famiglia, se idonea, può garantire.

Ebbene, pur partendo dalle migliori intenzioni e dichiarando di essersi ispirata all’esperienza di Regioni che hanno riconosciuto tipologie di comunità a “dimensione familiare” la Regione Lazio ha fatto il grosso scivolone di creare un nuovo tipo di comunità mista che in realtà non ha nulla della famiglia: può essere gestita indifferentemente da una vera famiglia oppure anche da due persone adulte non necessariamente legate tra loro. Si legge infatti nella delibera di due “persone adulte preferibilmente di sesso diverso” e “preferibilmente una coppia con figlio o un uomo e una donna”, ma non è richiesto che siano coniugi.

Non è dunque chiaramente richiesto che si tratti di una coppia legata da un rapporto di matrimonio o almeno di “amore” né è obbligatorio che si tratti di due persone di sesso diverso. Una doverosa nota: nel testo della delibera c’è un clamoroso errore, probabilmente un refuso, tuttavia non meno grave, perché la condizione che le due persone abbiano sesso diverso è inserita fra le premesse ma non della deliberazione vera e propria e nel documento allegato.

Ma se la presenza di una vera famiglia e di due adulti che formano una coppia è solo facoltativa, dove sarà il posto per l’“amore” che caratterizza il clima familiare necessario per i minori?

Altra enorme lacuna della delibera risiede proprio nella connotazione di queste comunità come strutture ad “accoglienza mista”: è possibile che queste comunità ospitino sia minori che adulti e perfino persone con patologie psichiatriche con l’apertura alla possibilità di coabitazione tra minori e adulti.

Dalla lettura dell’allegato alla delibera, emerge la possibilità che il responsabile della struttura valuti insieme ai servizi sociali del comune le condizioni di accoglienza di nuovi ospiti, tenendo conto del preminente interesse dei minori, ma sostanzialmente non appaiono definiti i criteri in base ai quali verrebbe regolata questa accoglienza mista. In altre parole, questo tipo di struttura non è normato, lasciando aperta la possibilità di creare ancora dei ricettacoli di emarginazione.

E’ evidente che la delibera della Regione Lazio è totalmente fuori legge perché ignora completamente la prescrizione della legge n. 184/1983 art. 2 comma 4 introdotto dalla legge 149/2001, laddove si era inteso affidare i minori solo a famiglie e chiudere una volta per tutte entro il 31 dicembre 2006 le strutture di accoglienza che non fossero veramente caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia”.