Reportage dal Brasile: «Non solo spiagge e samba»

BAHIA – «Caldo, aria secca, 40 gradi all’ombra, il pulmino si ferma in una piazza semideserta, c’è solo il rumore del vento, ma dove cavolo siamo?».

In Brasile, con i giovani occhi della solidarietà. L’incipit tra virgolette è di Letizia, 26 enne di Torino. È partita con altri nove giovani il 16 novembre scorso, alla volta di Salvador de Bahia, per addestrarsi in un progetto di solidarietà e cooperazione tra Italia e Brasile. Ecco come prosegue il reportage della loro avventura formativa.

«Jacunà, regione Sertaneja di Bahia, ore 10. Le porte della chiesa, unico edificio riconoscibile nella piazza, si aprono ed eccoli lì, tutti i bambini del paese venuti ad accoglierci. Il benvenuto ce lo danno a suon di canzoni e ballate, un repertorio che va dall’inno del Brasile alla struggente melodia del Titanic (un evergreen): di fronte a tale manifestazione non vogliamo certo essere da meno, improvvisiamo quindi “Bella Ciao” che, da qui in poi, sarà il nostro biglietto da visita.

«Solo qualche ora dopo, già gironzoliamo nella comunità di Jacunà; c’è chi tenta di pescare nello stagno dietro casa, chi prova (ma non riesce) a cavalcare un asino, chi cerca disperatamente una chitarra e chi si orienta tra le strade sterrate, lo sterco, le mandrie di mucche, tutti noi rigorosamente seguiti da sciami di bambine e bambini incuriositi e affettuosi.

«Qui il tempo è scandito dall’attività nei campi, dalla pioggia (rara) e dal meticoloso intreccio della paglia. In questa terra arida infatti, un tempo ricoperta di campi di paglia, la vita delle famiglie e delle comunità locali girava intorno ad essa: dal raccolto (attività per gli uomini), alla seccatura al sole, alla lavorazione per farne principalmente cappelli, tappeti e scope, ma anche borse e altri oggetti.

«Incontriamo un gruppo di donneAssociação de Artesãos de palha” che sta cercando di valorizzare questa usanza comunitaria per costituirsi come gruppo di economica solidale, favorendo così la generazione di un reddito comune che possa essere equamente ridistribuito, migliorando in generale la condizione di vita di queste donne. Le giornate si sono susseguite veloci tra visite alle varie comunità (Cazumba, Lage, Maria Preta) della regione di Bomfim dove Ai. Bi, partner di APAC (Associação Parceira das Crianças), gestisce progetti ed attività rivolti ai bambini e alle mamme: persone speciali, donne “guerriere” soprattutto, e luoghi che sembrano senza un dove e senza un tempo, che ci hanno accolto a braccia aperte nella loro nuda semplicità, posti dove davvero si vive con poco e si è felici di poco, l’uno per necessità, l’altro per virtù. Una realtà molto lontana dal Brasile delle spiagge, dell’Amazzonia, del samba, ma anche dalla povertà delle favelas dei centri urbani: qui infatti quel che manca sono in assoluto i servizi (la scuola, l’ospedale, i trasporti, le comunicazioni), l’acqua corrente è arrivata solo 10 anni fa (prima la si prendeva negli stagni che si formavano durante la stagione delle piogge), le possibilità di lavoro e, agli occhi di noi giovani italiani, mancano le opportunità per i giovani di Jacunà di oggi e di domani. Quale futuro si riserva per loro? ».

Intervistiamo Facica, 23 anni, iscritta a Milano al corso di Consulenza pedagogica, partita il 16 con i suoi compagni: «Quest’esperienza ha ribaltato la mia visione del mondo – risponde alla nostra intervista –. Questa gente mi ha insegnato a vivere l’importanza di ogni più piccolo gesto. Comunicare, lavorare e stare in mezzo a loro, cambia il modo di approcciarsi alle persone, mente qui, in Italia, si fatica a guardare in faccia gli altri, e a fare in modo che sia piacevole». Ne parliamo con Letizia, l’autrice del reportage. «La voglia è ripartire in Brasile per fare la tesi lì». Letizia infatti studia Scienze sociali a Torino. «L’ultimo giorno abbiamo viaggiato verso Campo Formoso, città dello Stato di Bahia estesa su un raggio di 200 km, la mia esperienza più interessante. Ho conosciuto Monalisa D., la coordinatrice di CREA, un Centro di assistenza specialistica – un’assistenza sociale di secondo livello – che accoglie e sostiene minorenni in gravidanza precoce, bambini, uomini con alle spalle storie di violenza. Monalisa è un avvocato con propensione sociale, è lei che mi ha aperto gli occhi dalla macro alla micro-politica. Grazie a lei abbiamo conosciuto Eddie, un ragazzino di 10 anni, reinserito nella famiglia di origine. Proviene da un Istituto locale, dove la direttrice faceva subire maltrattamenti ai piccoli ospiti; la mamma era minorenne e i nonni non volevano che subentrasse un neonato in famiglia. L’Istituto, per interessamento delle autorità locali, è stato fortunatamente chiuso. È stato recuperato il rapporto di Eddie con sua madre. Oggi Eddie dice che vuole fare l’avvocato, racconta la sua storia con un realismo e una lucidità di coscienza che ti fa sentire piccolo-piccolo… Molto, molto bella l’occasione di fare begli incontri con belle donne. Molto bella l’esperienza con i volontari espatriati che abbiamo incontrato, che sanno comportarsi senza invadenza, da fomentatori di energie già presenti sul territorio. Ancora più voglia di stare in Brasile».