Social e Siria: l’insostenibile pesantezza dell’essere seri

Siria Twitter scuolaIo non sono un tipo serioso, anzi: chi mi conosce sa che mi piace scherzare e ho la battuta facile. Uso molto l’autoironia e non mi prendo mai troppo sul serio.  C’è tuttavia un contesto nel quale mi riesce difficile essere divertente: i social network.

Lì, infatti, parlo soprattutto di ciò che accade ogni giorno in Siria; e la guerra non è affatto uno scherzo o qualcosa di cui si possa ridere a cuor leggero. Specie questa guerra.

Tempo fa, avevo rinunciato a ogni presenza sulle piattaforme sociali: dopo aver iniziato a lavorare come espatriato di Amici dei Bambini per la Siria, ho pensato di tornare a utilizzare questo strumento per sensibilizzare le persone su ciò che accade ogni giorno in questa terra insanguinata da un conflitto atroce e senza precedenti; per raccontare quello che leggo, che vedo, che sento raccontare da colleghi e amici siriani; per portare, di tanto in tanto, un po’ di speranza e positività, specie attraverso foto e notizie che riguardano gli interventi di emergenza realizzati da Ai.Bi. e Syrian Children Relief all’interno del paese.

In questi mesi, però, ho notato una certa indifferenza rispetto ai temi che affronto. Certo, lo so: sui social network bisogna anche saperci fare, un po’ come in tutte le cose. Bisogna costruirsi una “rete” importante di contatti e una certa credibilità, prima che ti diano davvero ascolto. Ci sta. Ma questo disinteresse va oltre le mie capacità di comunicare, raccogliere consenso o “bucare lo schermo” – come si dice in gergo televisivo. È un fenomeno generale, più ampio, che mi pare interessi l’argomento “solidarietà” nel suo complesso.

Vedo, ad esempio, che battute frivole – più o meno riuscite – di gente comune, vengono condivise o ritwittate da centinaia di persone, mentre denunce o informazioni diffuse da grosse ong internazionali ricevono scarsa o scarsissima attenzione. Persino i vip e le celebrità, quando si prestano a fare da testimonial per campagne solidali, perdono improvvisamente seguito e popolarità, come se la loro immagine venisse temporaneamente “depotenziata” dal messaggio benefico che vogliono veicolare.

Sembra quasi che certi argomenti come la guerra, la persecuzione, la violenza, ma anche la malattia e la sofferenza in generale, non facciano più di tanto breccia nel cuore degli internauti. Il dolore non fa tendenza, viene relegato a una sorta di tabù di cui si preferisce non parlare; magari con la solita scusa “che la solidarietà si fa con i fatti e non con le parole” (salvo poi non farla né con i fatti, né con le parole). Se poi si tratta della tragedia dei siriani, notoriamente più “discriminati” e trascurati di altri, l’attenzione generale cala ancora di più, così come la compassione nei loro confronti.

Non sono tanto ipocrita o moralista da condannare un atteggiamento che in parte è anche comprensibile e umano: anzi, spesso vorrei condividere io stesso alcuni tweet o post che trovo particolarmente divertenti o azzeccati. Eppure, non posso fare a meno di notare come alle volte sui social network prevalga un certo gusto per il frivolo, il fatuo, il mondano. Tutto ciò che invece riporta l’obiettivo sulla realtà, nei suoi aspetti più crudi, strazianti e indigesti, repelle, infastidisce, allontana.

Alle volte sono tentato di fare esperimenti sociali. O meglio, social: come scrivere una sciocchezza qualunque per verificare se l’apprezzamento di “amici” e “seguaci” salga improvvisamente. Che so, un messaggio del tipo: «Un cavallo entra in un caffè: splashE via, attendere la pioggia di like.

Ma poi mi dico che è inutile, che non m’interessa, che continuerò a parlare di Siria e a dire anche cose sgradevoli, urtanti, con una frequenza ai limiti dello stucchevole. A costo di risultare pesante a chi mi segue. Semplicemente perché queste cose accadono, e io non posso fare finta di nulla, come se non mi riguardassero.

Certo, l’auspicio è quello di poter dare anche buone notizie, ogni tanto, che pure non mancano e riscaldano il cuore. Specie se riguardano i bambini. Ma se così deve essere, cosi sia, almeno sui social: una risata ci seppellirà, insieme al popolo siriano.

 

Luigi Mariani
Country coordinator di Ai.Bi. in Siria

 

Ai.Bi. ha lanciato la prima campagna di Sostegno a Distanza per aiutare le famiglie siriane a restare nel proprio paese e continuare a crescere i propri figli in condizioni dignitose, nonostante la grave crisi. Cibo, salute, scuola, casa, gioco: queste le cinque aree d’intervento. Per avere maggiori informazioni sull’iniziativa e per dare il tuo contributo, visita il sito dedicato.