Tradate: apre l’ambulatorio del bambino adottato

VARESE – Finalmente un servizio per la salute del vostro bambino adottivo. La Struttura di Pediatria dell’ospedale di Tradate, che fa capo all’Azienda Ospedaliera di Busto Arsizio, il 16 aprile ha aperto l’Ambulatorio del bambino adottato, un servizio di accoglienza sanitaria rivolto ai figli entrati in Italia con un’adozione internazionale.

Due gli specialisti a disposizione, un pediatra e un infettivologo, guidati dal primario Marco Sala. Il passaparola delle coppie ha già prodotto quattro richieste. Il protocollo seguito per i le visite è il protocollo diagnostico-assistenziale per l’accoglienza del minore adottato dall’estero, risalente al 2007. «In tre incontri stabiliamo il contatto con la famiglia e svolgiamo gli accertamenti necessari: nel primo prendiamo visione della documentazione disponibile, nel secondo effettuiamo il prelievo di sangue assieme ad altri esami diagnostici, nel terzo forniamo indicazioni specifiche ai genitori, che proseguiranno l’assistenza al figlio presso il pediatra di famiglia».

«L’idea nasce da un interesse abbastanza diffuso nel nostro territorio – racconta il dottor Sala – e proveniente da alcuni genitori adottivi, che hanno espresso l’esigenza di trovare accoglienza sanitaria per i loro bambini adottati. Inoltre i dati ufficiali della Società Italiana di Pediatria, all’interno della quale è operativo un gruppo di lavoro sul bambino straniero, dichiarano che il 50% dei bambini adottati in Italia dai Pesi esteri possiedono una difficile o carente documentazione sui loro pregressi sanitari. Questo vuol dire che un bambino adottato su due, in Italia, è da inquadrare dal punto di vista sanitario».

L’organico del servizio è composto dalla dottoressa Francesca Pinto, medico pediatra, e dal dottor Filippo Speranza, infettivologo con competenze in malattie tropicali. Non è stato necessario reperire fondi per aprire l’Ambulatorio, né del resto sono previsti; un servizio come questo si basa su competenze che gli operatori presenti già possedevano – continua il dottor Sala –. Lo stesso si può dire per le risorse strutturali: l’ambulatorio occupa locali e spazi già esistenti. L’obiettivo con il quale l’ospedale si è mosso è quello di offrire alle famiglie un servizio il più possibile vicino alla loro residenza. Né in provincia di Varese né di Como i genitori adottivi potevano trovare un servizio di accoglienza sanitaria come questo: erano costretti a viaggiare fino a Novara o a Verbania, in Piemonte, oppure a Milano, se non addirittura fino a Brescia».

Il bambino adottato e appena entrato in Italia necessita infatti di controlli medici specifici. «Oltre all’assistenza di tipo psicologico – chiarisce Sala – il minore adottato internazionalmente ha bisogno di una visita medica generale, di un controllo nutrizionale e di uno infettivologico. Spesso questi bimbi provengono da realtà sanitarie deficitarie, oppure presentano casi di parassitosi non frequenti alle nostre latitudini,l né facilmente diagnosticabili o curabili. Alcuni bambini, provenienti dall’area di Černobyl, presentano possibili danni alla tiroide; i minori originari dell’America Latina possono essere nati in zone endemiche per la tubercolosi, o nelle quali ricorrono casi di turbative all’emoglobina».

«Un servizio per il quale non sono necessari fondi o finanziamenti particolari, ma solo buona volontà e competenze specifiche. Ambulatori come questo sono disseminati nel territorio nazionale in grandi strutture o nei capoluoghi – conclude il dottor Sala –. Andrebbero solo distribuiti geograficamente in modo migliore, così da non obbligare i genitori adottivi a lunghe trasferte». Cosa aspettano allora le Province a prendere il buon esempio?