Quando piange e non riesce a dormire: come aiutare il tuo bimbo adottivo a vincere i traumi del sonno

USA – «È arrivata sera, è ora mettersi a letto», pronuncia il genitore al figlio, a cena compiuta. Per molti bambini è l’annuncio della fine del gioco – oltre che il maggiore ostacolo alla curiosità di avventurarsi nella prerogativa tutta adulta della vita serale – e l’inizio dei capricci. Ma per i figli adottivi, la protesta e il rifiuto del sonno discendono da origini profonde e più complesse, che non di rado coincidono con il trauma dell’abbandono e con cambiamenti successivi all’adozione.

Un articolo pubblicato sul sito Adoptive Families, a firma di Katherine Mikkelson, offre una carrellata sui disturbi infantili nel sonno provocati dalla ferita dell’abbandono. Infatti, secondo le dichiarazioni riportate dalla Mikkelson, a soffrire del problema – che interessa in generale il 30 percento dei bambini statunitensi – sono soprattutto i figli adottivi. Tre i metodi, consigliati da esperti in medicina e pediatria, per consentire ai genitori di affrontare il disturbo, la cui radice è da ricercare nel vissuto del bambino.

Il metodo Ferber. Secondo Richard Ferber, 1° esperto USA e tra i massimi mondiali, i bambini devono padroneggiare la prassi dell’addormentarsi. In sostanza, devono apprendere a creare da sé le condizioni favorevoli al sonno. L’articolo passa in rassegna svariati casi di bambini adottivi, curati con questo metodo. La strategia consiste nel mettere il figlio a letto, poi nel lasciare la stanza. Se piange, tornare per rassicurarlo, ma senza prenderlo con sé. Se i pianti seguitano, tornare dopo pause progressivamente più lunghe. «Alla fine il bambino si metterà a dormire da solo, e andrà avanti così se si sveglia durante la notte», riporta la Mikkelson.

 Una sorta di «pianto controllato». L’applicazione delle metodologie che si avvalgono di un controllo dei pianti del bambino risultano essere efficacemente risolutive. Debbono comunque essere utilizzate a partire da un legame affettivo e di reciproca conoscenza già compiuto: questa è l’accortezza cui il genitore deve attenersi per una soluzione vincente.

Il metodo cry it out («piangi e sfogati»), utile come estrema risorsa e adatto ai figli particolarmente temperamentali e turbolenti. Il metodo consiste nel lasciarli sfogare – anche da soli –, ma è assolutamente sconsigliato nel periodo di tessitura del primo legame affettivo.

Il metodo co-sleeping, il dormire tutti insieme. Ma, attenzione: dormire nel lettone, secondo gli esperti, è sconsigliato e sorpassato. Il metodo suggerisce piuttosto di riarredare la camera matrimoniale per ospitare il lettino del figlio.

«Più cresce, più il bambino acquista capacità cognitive e immaginative e le porta nel letto con sé, più di quanto potesse fare da piccolo. In particolare l’adozione può trascinare con sé memorie, esperienze – perfino odori e suoni – riconducibili a vari traumi, come l’abbandono, la permanenza in Istituto, i maltrattamenti della famiglia d’origine, la vita di strada. Da parte del bambino, la reazione a tale trauma può essere controllata durante il giorno, ma tende a venire allentata al sopraggiungere della notte – commenta la Mikkelson –. Un buon principio per aiutare i figli adottivi è ricordare che sono come “neonati in corpi più grandi”, cui bisogna far sentire che non saranno abbandonati mai più».