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… quella notte non presero nulla

La riflessione di don Maurizio Chiodi prende spunto dalle letture proposte dalla liturgia per la III domenica di Pasqua, dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 21,1-19), dai brani tratti dagli Atti degli Apostoli (At 5,27b-32.40b-41) e dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (Ap 5,11-14).


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In questo tempo pasquale, la Parola di Dio ci accompagna e ci guida perché anche noi, nel cammino di questa nostra vita, possiamo celebrare la Pasqua di Gesù.

Il brano del Vangelo di Giovanni che abbiamo proclamato oggi, è una splendida traccia per la nostra via. È un testo molto suggestivo, ricco di sfumature preziose. In certi aspetti assomiglia al cammino dei discepoli di Emmaus ed è come una guida luminosa per la nostra fede.

Dopo gli eventi raccontati nel capitolo precedente, che abbiamo ascoltato la scorsa domenica, questo è l’ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni.

Vi si racconta l’ultima ‘manifestazione’ di Gesù ai suoi discepoli. Più che di ‘apparizione’, è bello parlare di manifestazione. Gesù non appare soltanto, come si trattasse (solo) di un’immagine passeggera e quasi fuggevole. Gesù si manifesta, si rende non solo visibile, ma, ancor più, presente: «Gesù si manifestò di nuovo … E si manifestò così…».

Il luogo di questa ‘manifestazione’ è il «mare di Tiberìade».

Il racconto si distende in tre passaggi, tre momenti collegati ma anche ben distinti l’uno dall’altro.

Nel primo momento, Giovanni dice che i Dodici, o meglio gli Undici, erano rimasti in sette. Non ci dice perché. Il testo è molto ‘stringato’. Non concede nulla al racconto dei sentimenti e dei pensieri di questi discepoli.

Però noi ci possiamo immaginare come fossero ancora ‘incerti’, fossero smarriti. Erano un po’ come uno che ha preso, all’improvviso, una grande sberla ed è come travolto da quello che accade.

I segnali contraddittori li lasciano come incapaci di reagire, storditi, in scacco. È difficile, in queste situazioni, riorganizzare le idee, i pensieri, ma soprattutto le azioni. “Che fare?”.

È in queste circostanze, di stallo, che il solito Pietro reagisce, prende l’iniziativa. «Io vado a pescare».

Anche qui il testo è molto asciutto. L’evangelista non dice perché Pietro dica così e prenda questa iniziativa. Possiamo immaginare diversi significati dietro queste parole. Ci possiamo immaginare intenzioni diverse, magari anche opposte l’una all’altra.

Forse Pietro vuole scuotere sé e i suoi compagni. Li vuole ‘riportare’ come alla realtà, per farli uscire da uno stato di ‘trance’. Forse, semplicemente, avevano bisogno di qualcosa da mangiare. Forse, con queste parole, Pietro sembra chiudere un ciclo di vita.

Erano quasi tutti pescatori: ora, dopo la morte di Gesù, è finito un bel sogno e bisogna ripensare a tornare alla vita di prima. In questo caso, dietro queste parole, si nasconderebbe l’amara consapevolezza della fine di una illusione: “è finito tutto, ragazzi. È stato un bel sogno, una bella avventura, ma ora è finita!”.

Ad ogni modo, gli altri si stringono attorno a lui: «Veniamo anche noi con te». Nelle parole di Pietro c’era un invito, implicito, certo. Ma qui sembra che gli altri sei non aspettassero che questo. Nelle situazioni difficili, avvertiamo quasi il desiderio fisico di stringerci gli uni gli altri. Insieme, cerchiamo di ripartire.

Si rialzano, si organizzano, si danno da fare.

«Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla».

Queste sono parole tremende, terribili. Non presero nulla in quella notte.

Capite, non è che presero poco. No, non presero nulla! Ed è notte. L’assenza di luce, nella notte, che avrebbe dovuto favorire la pesca, diventa quasi la costatazione viva del fallimento, dell’impotenza. È una presa d’atto di un male profondo. Hanno cercato di ripartire e sono subito caduti, inciampati, nel loro tentativo di camminare, di andare avanti.

In tutto questo primo momento, l’evangelista descrive molto bene le difficoltà del nostro essere uomini. Speranze, delusioni, nuovi inizi, e nuove disillusioni e, a un certo punto, la sensazione che tutto sia inutile.

È la notte. È il culmine della prova. Tutto sembra vano, sterile, infruttuoso, infecondo.

In netto contrasto con questa notte, all’improvviso, si annuncia l’alba. È il secondo momento.

All’apparire delle prime luci, compare e si manifesta Gesù stesso. I discepoli lo intravedono, sulla riva. O, meglio, intravedono questa figura, un po’ tremolante nelle nebbie del lago, forse, ma non sanno che è Gesù. «Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù».

Questo ‘gioco’, bellissimo, ci spiazza. Noi, i lettori, di oggi, lo sappiamo. Loro, gli attori, di allora, non sanno che questo sconosciuto è Gesù.

Ed è proprio questo ‘terzo’, sconosciuto, che li chiama dalla riva e prende l’iniziativa. Le sue parole non sono quelle di un estraneo. Sembra lontano, ma parla con affetto, facendo sentire tutta la sua vicinanza: «Figlioli …».

Nello stesso tempo, però, le sue parole, per i discepoli, diventano l’occasione per una maggiore amarezza: no, non hanno preso proprio nulla, quella notte, per mangiare!

È qui che lo sconosciuto rilancia, senza ‘sostare’ sulle difficoltà dei discepoli/pescatori. Dà delle ‘indicazioni precise’: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete».

Avrebbero potuto obiettare: “Ma come, cosa ne sai tu?”, “Chi credi di essere?”, “Sappiamo fare il nostro mestiere: di giorno non si pesca”.

Queste parole, però, le avevano già sentite, un’altra volta da Gesù. Chissà, forse spinti da questo ricordo … insomma, questi discepoli ‘si fidano’ delle parole di questo sconosciuto.

Gettano la rete e questa si riempie di un’enorme «quantità di pesci».

A questo punto è «quel discepolo che Gesù amava», il discepolo amato – immagine di ciascuno di noi! – che dice a Pietro, come folgorato da una certezza, dolcissima: «È il Signore!».

Sono tre paroline, ma qui c’è tutto. C’è la potenza della fede che riapre gli occhi, che ci permette di vedere quel che ci sfuggiva.

Senza dire nulla, senza commentare, eppure in evidente sintonia con quelle parole, Pietro si riveste e si getta in mare, così com’era.

Voleva raggiungere la riva, per poi andare incontro a quell’uomo e, così, si era già preparato? È talmente sconvolto, e gioioso, che ‘non sta più nella pelle’ e non sa più cosa fare? Scegliete voi. Tutta la scena si svolge in silenzio.

È squarciato, questo silenzio, solo dalle parole del discepolo amato.

Gli altri seguono Pietro, «trascinando la rete piena di pesci» per un centinaio di metri.

Questo secondo momento sembra suggerirci un’immagine bella della Chiesa. È come questa piccola barca dove i discepoli non prendono nulla, senza Gesù. È solo quando obbediscono a Gesù che, in modo sorprendente e insperato, raccolgono frutti sovrabbondanti. È una piccola barca in mezzo a un ‘mare’ di difficoltà, in un mondo che è il campo di azione, che è pieno di vita, ma in cui loro trovano solo tracce di morte.

E poi, c’è il terzo momento, quello conclusivo, o, meglio, culminante.

Anche qui tutto si svolge in silenzio, eccetto le parole di questo sconosciuto, di cui però ormai sanno bene che è Gesù: «Venite a mangiare».

I discepoli sono come ipnotizzati o, meglio, forse, affascinati. Appena prima, Gesù li aveva invitati, con parole che erano in stretto contrasto con quelle precedenti: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Prima, non avevano preso nulla, questo aveva chiesto lo sconosciuto. Ora, invece, questo (s)conosciuto invita a portare qualcosa di ciò che hanno preso, ricevuto in dono da Lui!

Gesù aveva già preparato il fuoco, con del pesce e del pane. Ma ora Lui vuole che essi portino un po’ di quello che Lui ha donato loro. Non possono tenere per sé quello che hanno ricevuto!

L’evangelista dice che «sapevano bene che era il Signore», ma «nessuno dei discepoli osava domandargli: “Chi sei?”». Non è per soggezione, forse. È perché l’amore, grato, a volte non trova parole.

Nel silenzio, «Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce».

Sono i gesti dell’Ultima Cena, i gesti dell’Eucarestia, inconfondibili. Con il pesce, una parola che, in greco, è diventata simbolo di Gesù: Gesù Cristo, Figlio di Dio, nostro Salvatore (icthus).

Sono i gesti con cui noi tra poco celereremo la presenza viva del Risorto tra noi. Sono i gesti con cui la piccola barca, che è la Chiesa, si trasforma nella comunità gioiosa e grata di coloro che, con Gesù, possono solcare le onde della storia per annunciare il Vivente!

don Maurizio



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