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… non vi manchi mai la gioia

La riflessione di don Maurizio Chiodi prende spunto dalle letture proposte dalla liturgia per la XIV domenica del tempo ordinario, dal Vangelo secondo Luca (Lc 10,1-12.17-20), dai brani tratti dal libro del profeta Isaìa (Is 66,10-14c) e dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (Gal 6,14-18).


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La Parola di Dio, in questa domenica, soprattutto nel Vangelo, dà grande rilievo a un aspetto decisivo della nostra fede di cristiani.

Ogni discepolo di Gesù non può non essere anche apostolo, testimone inviato, ‘missionario’. Noi non possiamo non portare agli altri il dono che abbiamo ricevuto.

Certo, non possiamo – in nessun modo! – obbligare gli altri ad accogliere il nostro dono. Se così fosse, non sarebbe più neppure un dono: non posso costringere un altro ad accettare quello che gli regalo!

Però il dono rimane, anzi risplende in tutta la sua bellezza di dono (rifiutato), se l’altro non lo accoglie.

San Paolo, nella seconda lettura, la lettera ai Galati, dice una cosa bellissima riguardo al dono del Vangelo.

Egli dice così: «quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo». Questo significa: “io non posso ‘vantarmi’ di nulla, se non del dono della grazia, della salvezza, che ho ricevuto nella croce, nella sovrabbondanza del dono della vita di Gesù, a mio favore. Se proprio devo ‘vantarmi’ di qualcosa, allora mi vanterò di essere stato amato”.

L’amore di Gesù, di cui la croce è la manifestazione suprema, è ciò di cui ci possiamo vantare noi cristiani!

Il nostro vanto non sono i nostri meriti, le nostre capacità di essere super-eroi, quasi fossimo migliori degli altri, ma il dono che, per grazia, abbiamo ricevuto e accolto. Di questo ci dobbiamo vantare!

Da questo scaturiscono i ‘tratti’ che non possono mancare al ‘missionario’, al discepolo che si fa apostolo, testimone per altri.

Sono tratti che appartengono a tutta la Chiesa, tutta la comunità cristiana, che non può non essere ‘missionaria’, inviata a dare a tutti il dono del Vangelo, che è destinato a tutti gli uomini!

Questo dono è dato a me, perché sia per tutti, anche grazie a me, a noi tutti!

Questa straordinaria ‘verità’ – il Vangelo è per tutti gli uomini! – è detta con molta semplicità nelle scelte di Gesù: «designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé…». È vero che, qui, non c’è stata ancora la Pasqua di Gesù, ma il Vangelo (di Luca) – che è stato scritto dopo la Pasqua! – anticipa, come volere stesso ed esplicito di Gesù, che questo dono è per tutti.

Nell’inviato, apostolo, è indicato il senso del dono. Questi ‘missionari’ sono settantadue, un numero che, simbolicamente, indica tutte le nazioni del mondo.

Gesù accompagna questo ‘mandato’ con delle parole bellissime: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!». La messe è abbondante perché il campo della ‘missione’ è il mondo intero: il dono è per tutti!!

C’è dunque una sproporzione tra messe, o campo, e operai. Ma questo, invece che demoralizzarci, ci deve incoraggiare e stimolare. La potenza del Vangelo, che è dono, grazia, è affidata alle nostre fragili mani. Ci è dato un compito che va al di là delle nostre forze non però per umiliarci, ma perché noi non ci dimentichiamo che il nostro vanto deriva da un Altro. C’è una tale ‘sproporzione’ tra noi e il Vangelo, che questo diventa un richiamo continuo per noi stessi, a ricordarci che noi non ne siamo ‘padroni’.

È una grazia che abbiamo ricevuto, quella di poter annunciare a tutti.

Da qui allora un secondo tratto caratteristico di ogni ‘apostolo’, missionario, di tutta la Chiesa! «Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!

Tante volte abbiamo interpretato male questa parola di Gesù, come a voler dire che questo ‘Signore’ proprio non ha a cuore la sua ‘messe’, quasi se ne dimenticasse, e allora, noi dobbiamo supplicarlo, perché finalmente si ricordi di noi!

C’è un modo sbagliato per rivolgere a Dio questa nostra preghiera: certe volte sembra che nella preghiera perché mandi operai alla sua messe ci sia una specie di rimprovero al Signore, nostro Dio. “Noi sappiamo di cosa abbiamo bisogno più di te”: certe volte sembra che cadiamo in questa mancanza di fede nei confronti di Dio.

Invece no: il senso di questa preghiera non può che essere un altro. Se il dono, la grazia, che noi portiamo non è frutto di una nostra conquista, allora, quando la annunciamo, non possiamo che invocare il Donatore.

La prima cosa che accompagna il missionario, l’apostolo, è la preghiera. Affidiamo al Signore il nostro annuncio, perché è Lui che noi annunciamo.

C’è un terzo tratto, pure molto forte. «Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi».

Il missionario non può essere un ingenuo, non può non guardare con realismo e con estrema attenzione il ‘mondo’, la città, dove viene mandato. Sa che, attorno a lui, attorno alla Chiesa, ci sono lupi pronti a sbranare gli agnelli. È il male, è tutto ciò che si oppone al dono di Dio, alla grazia del Vangelo. C’è un egoismo, c’è una violenza, c’è una menzogna che si oppone all’annuncio del Vangelo.

Questo non ci fa vivere schiavi della paura, ma ci fa essere consapevoli dei rischi che affrontiamo nel nostro annuncio, nella nostra testimonianza!

C’è un quarto tratto, pure molto bello, nelle parole di Gesù: «non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada». Il missionario, tutta la Chiesa, non deve avere altra ‘ricchezza’ se non il dono che annuncia.

Questo non significa che non dobbiamo avere la massima cura di come annunciamo questo dono. Al contrario, tutta la nostra cura e attenzione va proprio al modo in cui la ‘diamo agli altri’, perché possano comprendere quanto è prezioso il dono che stiamo portando loro.

Il comando di non salutare nessuno significa l’urgenza, quasi ‘la fretta’ che ci spinge a non fare altro se non essere testimoni, come se Gesù ci dicesse: “vai al centro, vai all’essenziale, a ciò che conta veramente”.

C’è un quinto tratto dell’apostolo: «prima dite: “Pace a questa casa!”».

Ecco che cosa è il Vangelo: è annuncio della pace, la pace di Dio, la pace che è dono e quindi speranza che va al di là delle nostre forze e conquiste.

E però questa pace ‘passa’ attraverso di noi, attraverso il nostro impegno, la nostra testimonianza. Dio non fa senza di noi!

Diamo la pace, ma se colui al quale la annunciamo non la vuole, allora perde questo dono. Nessuno è costretto ad accogliere questa grazia. La ‘grazia’ del Vangelo si raccomanda da sola. Non c’è alcun obbligo. Chi la rifiuta, davvero non sa quello che perde!

Perciò subito dopo, Gesù dice che «quando non vi accoglieranno», “dovrete perfino scuotere la polvere dai vostri piedi”, per sottolineare a coloro che rifiutano il Vangelo come essi stiano perdendo la grandezza di un bene gratuito.

Inoltre, ma potremmo andare ancora avanti lungamente, c’è un sesto tratto: quello che riassume tutto.

Gesù chiede, in sintesi, due cose ai suoi apostoli: “oltre ad accettare senza pretese l’ospitalità, ‘in cambio’ date il vostro dono: l’annuncio di un Dio vicino, un Dio che si fa promessa, per regnare nell’amore”.

«È vicino a voi il regno di Dio».

E questa prossimità di Dio trova il suo segno più eloquente nella ‘cura’ dei malati  e cioè di tutti quelli che sono più deboli, all’ultimo posto.

È con questa ‘cura’ che si esprime al meglio la qualità di Dio.

Infine, un ultimo tratto: “in tutte le difficoltà, le resistenze, le fatiche non vi manchi mai la gioia”.

Questa è la parola finale di Gesù: la gioia di chi ha il proprio nome scritto «nei cieli», perché amato da un Dio che è Grazia!

don Maurizio



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