La riflessione di don Maurizio Chiodi prende spunto dalle letture proposte dalla liturgia per la solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, dal Vangelo secondo Luca (Lc 1,39-56), dai brani tratti dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni (Ap 11,19a; 12,1–6a.10ab) e dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi (1Cor 15,20–27a).
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Assunzione o ferragosto (cioè ferie – festa – di agosto)? Tutte e due.
È un momento prezioso di sosta, anche per chi credente non è! Ma noi credenti abbiamo la grazia di sapere perché oggi è festa. È la festa di Maria che noi oggi ricordiamo ‘assunta’ in cielo.
Maria è morta, come tutti, come Gesù stesso, ma è anche la prima e l’unica creatura che partecipa – nel paradiso di Dio – alla piena e definitiva comunione con il suo Figlio risorto!
Anche noi, con la morte, risorgeremo, anima e corpo, come Gesù. Lo dice Paolo nella seconda lettura: «Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti». Ma c’è una differenza tra noi e Maria proprio come c’è una differenza tra noi e Gesù. Maria partecipa, fin d’ora, allo stesso destino di Gesù.
Gesù è risorto e il suo corpo di carne è divenuto un corpo glorioso. Così per Maria. Anche per noi, per chi si salva, il nostro corpo – tutta la nostra vita! – diventa ‘glorioso’, eppure di questo corpo rimane un segno, sulla terra; un corpo di carne che lentamente si corrompe e poi sparisce.
Ecco, Maria è risorta con Gesù, il suo corpo ‘morto’ non è rimasto sulla terra.
Questo ‘privilegio’ di Maria è legato alla sua relazione unica con Gesù.
Ma a questo tutti siamo destinati.
Per questo la solennità dell’Assunzione è una festa di grande grazia.
Celebrando Maria, noi celebriamo quello che ci attende, il ‘destino’ che Gesù ha preparato per noi.
Vorrei, in questa breve riflessione, mettere in rilievo due motivi importanti per noi, in questa festa dell’Assunta: la fede, unita alla carità, e la speranza.
Ce ne parlano, ripetutamente, la pagina (famosa) del Vangelo e la prima lettura dal libro dell’Apocalisse.
Sono le tre virtù teologali, le tre virtù che sono come l’anima dell’agire del credente, che le riceve in ‘dono’ da Dio!
Il Vangelo mostra con grande evidenza come la fede di Maria subito si ‘incammini’, prenda la sua forma nella carità.
Dopo aver detto il suo ‘sì’ all’angelo di Dio, «Maria si alzò e andò in fretta» verso la casa di Elisabetta e Zaccaria.
È bello questo «in fretta». Maria ha fretta non perché voglia ‘verificare’ se è vero quello che le ha detto l’angelo. Piuttosto, è certa che sia così e allora va verso la sua anziana parente, per assisterla e accompagnarla negli ultimi mesi della sua gravidanza. Quella di Maria è un atto squisito di carità, di amore gratuito.
Quando Maria entra nella casa di Zaccaria e saluta Elisabetta non fa in tempo a salutare che l’anziana donna ‘sente’ in sé il bambino che sussulta. Era già al sesto mese!
Prima ancora che sia Elisabetta ad accogliere Maria, è il piccolo Giovanni (ma non si chiamava ancora così!) che accoglie Maria. O, meglio, Giovanni accoglie Gesù, nel grembo di Maria. Dietro e ‘dentro’ le madri ci sono i figli! Sono loro il centro dell’attenzione e della scena!
Sentendo il sussulto del figlio, Elisabetta esclama a gran voce, ricolma del dono dello Spirito, un saluto bellissimo nei confronti di Maria. È un saluto così bello che noi lo abbiamo inserito nella preghiera dell’Ave Maria: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!».
Con queste parole ‘ispirate’ Elisabetta proclama Maria ‘benedetta’ perché porta in grembo il Benedetto. La grandezza di Maria sta nella ‘grazia’ di Dio che l’ha ricolmata, diventando carne della sua carne!
Tutto questo accade per la sua fede. È proprio Elisabetta che glielo dice: beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Maria non crede perché è privilegiata, ma è beata perché crede. È perché crede che Maria permette all’opera di Dio di realizzarsi nella sua vita.
E questo vale anche per noi: senza la nostra libertà che accoglie, Dio non può fare nulla nella nostra vita.
La risposta di Maria a questo bel saluto di Elisabetta è una bella conferma a quanto stiamo dicendo. Maria risponde a Elisabetta con una bellissima preghiera.
È meno famosa, purtroppo, questa preghiera, che più che una preghiera a Maria, è una preghiera di Maria.
In effetti, propriamente parlando, la preghiera è sempre rivolta a Dio. Anche quando noi ‘preghiamo Maria’, come nell’Ave Maria o nel Rosario, in realtà è Dio che noi preghiamo. Le parole che noi rivolgiamo a Maria, lei le porta al Figlio e al Padre, nello Spirito Santo, che è l’amore dei due.
Stiamo parlando, dunque, della preghiera del Magnificat, la preghiera di Maria.
Dovremo impararla a memoria, tutti. È la preghiera che accompagna, ogni giorno la liturgia del Vespro, alla fine della giornata.
Questa preghiera è uno straordinario inno di lode e di ringraziamento a Dio, da parte di una ‘piccola’. Questa preghiera, infatti, ricalca (e assomiglia molto) la preghiera della madre di Samuele, quando riceve in dono da Dio di diventare madre.
Questa preghiera dovrebbe accompagnare, in particolare, ogni donna, quando diventa madre, perché ogni madre riceve in dono da Dio il suo figlio.
È una preghiera, quella di Maria, che dice tutta la sproporzione tra il dono che ha ricevuto e la sua piccolezza. Maria non si ‘monta la testa’ perché è diventata madre di Dio. Semplicemente ‘confessa’ che tutto ciò non è altro che un dono che ha ricevuto. Lei sarà chiamata ‘beata’ da tutte le generazioni per quello che Dio ha operato in lei, non per quello che lei ha fatto da sola.
Maria è una risposta profonda e semplice per tutti noi. In lei Dio ha operato per grazia, portando a compimento la sua misericordia. Sì, perché Dio è misericordia, è grazia!
Poi c’è la terza ‘virtù teologale’, la speranza, di cui parla la prima lettura.
L’Apocalisse è un libro, difficile, pieno di simboli, che ci apre uno squarcio su Dio e trasforma questa rivelazione di Dio in una luce di speranza per noi che siamo ancora in cammino sulla terra.
Le immagini bellissime di questo brano, oggi, ci parlano di «un tempio», nel quale è custodita l’arca dell’alleanza. E poi ci parlano di «una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle».
Queste immagini si riferiscono, evidentemente, alla Chiesa. Nel tempo, nel dramma della storia, la Chiesa è il tempio di Dio, che custodisce la testimonianza di Gesù, che è l’alleanza definitiva ed eterna di Dio con tutta l’umanità.
Infatti, questa donna sta partorendo un figlio. Grida «per le doglie e il travaglio del parto».
È la missione della Chiesa nel mondo: portare in questo nostro mondo Gesù, essere testimone dell’alleanza e dell’amore gratuito di Dio per l’umanità.
Però queste parole noi le possiamo riferire anche a Maria, perché la madre di Gesù diventa come il modello ‘ della Chiesa. Essa è dentro la Chiesa, ma è ‘dentro’ con la sua singolarità. Dentro la Chiesa, Maria è un modello della Chiesa. Il bimbo che la donna sta partorendo deve fuggire da «un drago» che lo vuole divorare. È il male. È ‘satana’, l’accusatore.
È il dramma della storia, continuamente tentata di rifiutare Gesù. È il dramma di un’umanità che preferisce la guerra, l’odio, la violenza, la menzogna, alla pace, all’amore, alla dolcezza, alla carità.
Questa tentazione poi, sta ‘dentro’ la Chiesa stessa.
Eppure questo non ci fa perdere la speranza.
Quel bimbo, Cristo, è la «salvezza, la forza» del nostro Dio.
Nel suo nome noi tutti possiamo attraversare i drammi, i travagli della vita, senza perdere la nostra speranza nella grazia di Gesù.
don Maurizio