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La spiritualità dell’affido (11). Come i discepoli di Emmaus: cosa rimane quando i figli accolti se ne vanno?

“Comunque finisca un affido, con il rientro in famiglia d’origine, con l’adozione o in altro modo, il dolore della famiglia accogliente è profondo: hai dato tutto te stesso e ora?”


“I discepoli di Emmaus” (Lc. 24, 13-53) è uno dei brani del Vangelo che spesso viene commentato, meditato e pregato. Luca racconta questa vicenda alla fine del suo Vangelo.

Collochiamoci nel tempo. Siamo subito dopo l’incredibile fine settimana che ha deciso le sorti dell’umanità. Gesù è morto in croce ed è risorto nella sua gloria, ma molti di quelli che lo hanno seguito sanno solo la prima parte di ciò che è avvenuto nel week-end gerosolomitano, ovvero l’ignominiosa morte in croce del Maestro. Tra di loro ci sono i due discepoli di Emmaus, due discepoli cioè che dopo essere entrati nella gioia, nella Città Santa, appena la settimana prima, si trovano ad allontanarsene dopo gli eventi del venerdì di passione.

Proviamo a percorrere assieme ai due discepoli la strada che da Gerusalemme porta verso Emmaus

Cleopa e il suo amico (che non viene nominato dal Vangelo, ciascuno di noi può mettersi al suo posto) camminano con il cuore e il volto triste, delusi e scoraggiati, incapaci di capire cosa è successo realmente a Gerusalemme. A cosa è servito il sacrificio di Gesù? Ora cosa succederà? Cosa rimane della predicazione e dei segni operati dal Maestro? Cosa sta succedendo loro?

Proviamo ad accostare i loro pensieri e i loro sentimenti a quelli dei genitori e dei fratelli affidatari dopo che è finita un’ accoglienza.

Il termine di un’accoglienza affidataria genera sentimenti simili a quelli provati da Cleopa e dall’ignoto discepolo suo compagno. Dubbi simili e anche qualche paura. Comunque finisca un affido, con il rientro in famiglia d’origine, con l’adozione o in altro modo, il dolore della famiglia accogliente è profondo: hai dato tutto te stesso e ora? Cosa rimane? I figli vanno. Ieri mangiavano sereni a tavola assieme al resto della famiglia, scherzavano, giocavano, studiavano, dormivano tranquilli nella loro cameretta, da oggi non ci saranno più. Non c’è ritorno, la famiglia affidataria potrà rivederli? Forse si o forse no… la famiglia, ora ex-affidataria, riprende a camminare, a vivere la propria vita, ma si accorge che questa stessa vita non è più come prima, qualcosa si è rotto o, perlomeno, qualcosa è cambiato. Inutile negare che questo è il momento più faticoso dell’intera esperienza affidataria: la famiglia ha dato tutto ciò che ha potuto, a volte fino allo sfinimento, si è ripetuta ogni giorno “poi andrà via” per non farsi troppo male, ha desiderato per quel suo figlio che il momento della partenza arrivasse presto. Forse lo ha sperato anche per se stessa prevedendo la fatica che quel momento avrebbe comportato. Il vuoto che esso genera è comunque immenso.

I due discepoli, lungo la strada, conversano e discutono

Anche le famiglie affidatarie quanto parlano tra di loro, all’interno della coppia, con i figli, tra figli stessi, dopo il momento dell’addio. Quanto parlare, anche inutile. Quanto rileggere l’accaduto, verificare il proprio agito. Anche con sensi di colpa, perché si poteva fare meglio! Quanto cercare consolazione al dolore e conferma del fatto che ciò che è stato fatto è stato veramente un bene.

Tutto inutile, perché il vuoto immenso rimane nonostante le tante parole. Come i discepoli, la famiglia affidataria capisce di non capire. Ma dà voce al suo dolore, sperando che si affievolisca.

Intanto, però, Gesù in persona si era avvicinato ai discepoli e camminava con loro, anche se loro non lo riconoscevano. Gesù era diverso. Il Risorto era irriconoscibile: “conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.” (Lc. 24, 14-16)

Capita che dopo la conclusione di un affido la famiglia affidataria incontri nuovamente i suoi figli ex-affidati. L’incontro è spesso strano, anche al limite dell’imbarazzante. Sembra che quanto rendeva normale, ordinario, lo stare insieme sia svanito. Nuovi ruoli, nuove relazioni. Quasi nuovi visi. È tutto cambiato. Sembra proprio che tutto debba ricominciare da capo con persone nuove, diverse. Una nuova storia deve necessariamente cominciare, ma la famiglia affidataria e i bambini, tra loro fratelli, vogliono veramente cominciarla? La storia comune tra i ragazzi e la famiglia ex-affidataria presenta ora una discontinuità, una cesura, che sembra lasciar presagire la fine della storia stessa. Non sarà mai più come prima o, forse peggio, famiglia e ragazzi si sono veramente e definitivamente persi. Ancora una volta la speranza è messa alla prova. Proprio la famiglia affidataria, genitori e figli affidatari, è messa alla prova. Proprio loro, che pensano di aver fatto, se non proprio il loro massimo, un significativo sforzo per far tornare a sperare quei bambini! Tutto ciò che attendevano da quell’incontro con quei loro figli non lo trovano. Grande, amara delusione.

 …Ma Gesù continua a camminare con i due discepoli

Spiega loro quello che è successo e, quando è sera, a tavola, spezza ancora il pane ed, ecco!, i discepoli lo riconoscono! Basta un gesto, un segno, per risvegliare il ricordo, gli occhi e il cuore dei discepoli si aprono nuovamente al Risorto: “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro.Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista.” (Lc. 24, 30-31)

Basta un momento di spontaneità e di verità e tutto si ricompone. Basta tornare a fare insieme qualche gesto quotidiano per ritrovarsi: un pranzo, una passeggiata, una chiacchierata nei luoghi familiari. Ognuno riprende il “suo posto”, in modo naturale. Improvvisamente si ricrea calore, spontaneità, vicinanza… Ed ecco che l’unità si ricompone, ma quasi più bella, più sincera, libera da vincoli. Tutti sono realmente diversi, forse più veri, di sicuro cresciuti non solo nel corpo ma anche nello spirito.

Ritrovarsi in un gesto che per anni ha unito, come il condividere il cibo che è forse segno di quel legame che ha nutrito la relazione, sorpresa, ancora la nutre.

In quei momenti si comprende come la presenza degli accolti nella propria vita non è venuta meno con il venir meno della quotidianità. C’è un “per sempre” insito nel “per un po’”. Non si può essere figli per un po’, genitori per un po’. Quando lo si diventa lo si resta per sempre, cambia la forma ma non la sostanza. Lo si percepisce pur nell’assenza, nella nostalgia. E il dolore si affievolisce. In fondo, bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella Sua gloria!

La presenza nell’assenza

Solo dopo aver provato questo legame che va oltre un contratto d’affido, oltre al documento scritto nero su bianco, si è in grado di capire che anche la sofferenza del distacco ha un senso. Il patimento di tutti è servito per riconoscere il cambiamento. Per scoprire un legame forte che va oltre le contingenze. Per scoprire che questo legame forte si è consolidato lentamente, per piccoli passi, con tante fatiche condivise, con la fiducia reciproca, nella speranza condivisa. La presenza nell’assenza è possibile riconoscerla dai frutti che ha prodotto in tutti.

Quindi è possibile affermare con certezza e serenità che i progetti d’affido finiscono, ma quei ragazzi accolti rimangono figli speciali.

Questo è un sentire comune alle famiglie affidatarie. È significativo ricordare le parole di una mamma di famiglia affidataria storica di Amici dei Bambini: “Non trascorre giorno in cui io non pensi a tutti i ragazzi affidati che sono passati dalla mia casa, anche a quelli di cui non ho più notizie, e sono stati diciotto!”.

(Approfondimento n.11)  (Per leggere la puntata n.10 QUI)

Cristina Riccardi e Paolo Pellini

Comunità La Pietra Scartata



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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