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I “corto circuiti” dell’accoglienza: “Adottare un bambino! Ma chi ve lo fa fare?”

Mesi e mesi senza sapere niente ci hanno un po’ sfiancato ed in più di una occasione ci siamo sentiti impotenti di fronte a questa “macchina internazionale” della quale non riuscivamo a capirne il funzionamento”…

Parlare dei nostri cortocircuiti non è semplice…


In primo luogo perché sono trascorsi molti anni dalla nostra adozione (avvenuta ormai 11 anni fa) ed ancor di più dall’inizio del nostro iter burocratico (ben 16!); in secondo luogo perché la nostra adozione è andata molto bene e nostro figlio (con i suoi pregi e i suoi difetti, i suoi slanci e le sue ribellioni adolescenziali) si è inserito pienamente nella nostra famiglia e nel nostro tessuto sociale (che ormai da vari anni è il suo più che il nostro…).

Primo corto circuito: la società

Il primo corto circuito che ci viene in mento è quello legato alla nostra società. In parte risiede – ne siamo certi – nella natura stessa dell’uomo; ma ci sembra di notare che sempre di più il mondo moderno è contrario alla cultura dell’accoglienza. Abbiamo paura del diverso, di colui che viene da lontano, della persona malata e di quella fuori dagli schemi. Oggi, al tempo del coronavirus, abbiamo paura anche del “vicino” e cerchiamo – così come ci hanno detto di fare – di “mantenere le distanze”. Tutto ciò sicuramente non aiuta quella coppia che intraprende un cammino (già difficile per sua natura) di adozione; “ma chi ve lo fa fare?”, “ma di cosa avete bisogno?”, “ma perché volete proprio cercarvela?”. Sono domande che, in maniera più o meno velata arrivano da colleghi, amici e parenti. E non sempre si hanno le “spalle larghe” per sostenerne il peso.

Secondo corto circuito: il rapporto con i servizi sociali

Il secondo cortocircuito che vogliamo evidenziare, relativamente alla nostra storia personale, è stato il rapporto con i servizi sociali, in particolare con lo psicologo che abbiamo incontrato durante la preparazione dei documenti per la presentazione della domanda al tribunale minorile. Questi, più che mostrarci le potenziali ed oggettive difficoltà di un percorso adottivo, ci è sembrato quasi che ci volesse ostacolare. Augurandoci che le cose, nel corso degli ultimi 15 anni, siano cambiate, abbiamo avvertito il fatto che fosse totalmente impreparato nell’affrontare dinamiche legate all’adozione e che si limitasse a riportare la sua esperienza ed i suoi studi legati a dinamiche non inerenti l’adozione e che manifestasse quella cultura della “non-accoglienza” di cui abbiamo parlato sopra. Di tutt’altra pasta gli psicologi Ai.Bi. (tanto della sede di Bologna che ha curato la nostra adozione, quanto di quella di Firenze alla quale ci siamo affidati per il percorso post adottivo).

Terzo corto circuito: l’attesa

Il terzo cortocircuito è stato senza dubbio l’attesa. Mesi e mesi senza sapere niente ci hanno un po’ sfiancato ed in più di una occasione ci siamo sentiti impotenti di fronte a questa “macchina internazionale” della quale non riuscivamo a capirne il funzionamento. Ci è valso – e non poco!!! – il ciclo di 10 incontri organizzati proprio da Ai.Bi. denominato “I tempi dell’attesa” che oltre a tranquillizzarci un poco (a dir la verità non sempre ci è riuscito…) ci ha comunque aperto mente e cuore ad un’accoglienza più grande e ci ha aiutato ad arrivare “al grande giorno” meno impreparati.

Stefano e Stefania Campigli

Gruppo Famiglie Ai.Bi. Toscana

 



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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