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Alberto Cozzi: il libero affidamento di Gesù sulla croce (7)

Il “grido” di Gesù – come quello del bambino abbandonato – dà voce alla speranza contro ogni speranza, all’invocazione che tiene aperto il rapporto “nonostante tutto” e trasforma l’abbandono in attesa

Il numero 1 della rivista “Lemà sabactàni?” costituisce, insieme al n. 2, il primo di due fascicoli destinati a illustrare l’identità e il senso della rivista stessa così come delle sue prospettive, per offrire un contributo in ambito antropologico, teologico, sociale, giuridico e culturale stimolando e animando la riflessione civile ed ecclesiale sui temi dell’accoglienza famigliare adottiva e affidataria.

Il primo numero della rivista ospita anche il primo dei preziosi e fondamentali contributi al tema del teologo Alberto Cozzi (vicepreside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e preside dell’ISSR di Milano) pubblicati negli anni sulle pagine di “Lemà sabactàni?”.
Con l’articolo, che in undici distinte tappe volentieri proponiamo – abbandono/accoglienza: un nuovo luogo per la teologia – Cozzi illustra il profilo dell’ulteriore occasione offerta dalle dinamiche abbandono-accoglienza anche per la riflessione teologica: abitare un nuovo luogo dell’esperienza per riflettere sulla rivelazione.

Oggi presentiamo la settima delle 11 tappe.

Per leggere la sesta tappa QUI

Settima tappa

Il libero affidamento di Gesù sulla croce

Al cuore della scena di crocifissione si trova dunque il grido di Gesù, inteso come libero affidamento al Padre (Luca) e/o come invocazione mantenuta nella prova radicale (Marco e Matteo). Questo grido assume la forma di una libera decisione di fronte all’abbandono: Gesù si sente abbandonato da un Dio che si ritrae dall’esperienza immediata, dalle immagini che l’uomo se ne fa e, quindi, dai beni disponibili a cui era legata la sua immagine.

Si crea lo spazio per la libertà: il ritrarsi di Dio ha la forma di un appello, di una chiamata a decidere se mantenere l’invocazione o rassegnarsi. Gesù dà voce alla speranza contro ogni speranza, all’invocazione che tiene aperto il rapporto “nonostante tutto”.

Ingenuità, illusione? Oppure è questa la figura della verità del desiderio in noi, quel desiderio infinito che grida al di là di tutto e trasforma l’abbandono in attesa, rilanciando quel carattere promettente della vita, che nulla potrà smentire (Sap 2)?
Guardando Gesù crocifisso nella prospettiva della speranza del bambino abbandonato che aspetta una famiglia, si scopre che la vera libertà è quella che dà voce a questo desiderio al di là di tutto e nonostante tutto. Questa libertà che assume il desiderio nella sua dinamica più radicale diventa attesa ospitale e accogliente dell’Altro/altro.

Il grido di Gesù in Marco e l’attesa: sperare contro ogni speranza

Nella scena drammatica di Marco il (primo) grido di Gesù ha una funzione interessante poiché, attraverso l’equivoco sull’invocazione di Elia, tiene aperta l’attesa, anziché funzionare come l’ultima parola che decreta la fine di tutto: «Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce» (Mc 15,36). L’equivoco su Elia riprende di fatto la strategia narrativa di Marco che intende lasciare lo spettatore ai piedi della croce “col fiato sospeso”, in attesa e col cuore tormentato dalla domanda: è davvero la fine o sta per succedere qualcosa? Dio è veramente assente oppure si sta realizzando un nuovo modo della sua venuta, come ammonisce il segno delle tenebre a mezzogiorno, che riprende un oracolo del profeta Amos sul “giorno di JHWH”, che sarà tenebra e non luce per il popolo distratto?
Ma per cogliere questa qualità di attesa dell’esperienza della croce occorre assumere il punto di vista del figlio Gesù, si deve entrare nel dialogo del Figlio col Padre suo, anticipato nel Getsèmani. Allora si coglie la forza di questo grido che è come un’invocazione mantenuta, nonostante tutto. La croce è scuola di speranza al di là di ogni possibilità umana.

La libertà filiale come partecipazione al desiderio di Gesù

Alla luce di questa esperienza si comprende come per il discepolo del Crocifisso vivere la libertà dei figli non significhi fare ciò che si vuole o inventare sempre di nuovo la propria identità. La vera sfida della libertà si trova nella decisione di dare credito a quel desiderio di vita, a quella promessa che Dio ha scritto nel cuore della sua immagine creata, e che nulla potrà mai smentire.

Ci si deve dunque chiedere se quelle esperienze umane in cui questo desiderio emerge in tutta la sua forza di “speranza contro ogni speranza”, come attesa che trasforma il tempo dell’abbandono in spazio di affidamento più intenso, non siano esperienze strategiche per cogliere la forza rivelatrice della croce. Ma ciò significa che l’esperienza cristiana di Dio si inscrive nel ritmo di abbandono-affidamento che caratterizza le esperienze umane più significative. Questa dinamica va assunta come Gesù nella libertà filiale e, quindi, chiede di vivere la relazione con Dio al livello della decisione personale che è capace di mantenere la relazione anche nella crisi e nella prova, approfondendo il luogo dell’incontro e crescendo nell’intimità: non trovo più l’altro nell’immediatezza delle esperienze precedenti, ma lo devo cercare a un nuovo livello di rapporto. Ma per fare questo devo decidere se mantenere l’affidamento attraverso la crisi o se rinunciare alla relazione, poiché le condizioni sono cambiate. La fede entra in questa dinamica umanissima e la compie.

È proprio a livello di questa condivisione del desiderio di Gesù e della sua decisione personale e libera di “mantenere l’invocazione nonostante tutto” che si comprende la profondità della sua identificazione col bambino, coi piccoli, e la richiesta di accoglierli con il loro punto di vista, con la loro domanda di accoglienza e riconoscimento. Si tratta di un’esperienza in cui ridiventa chiaro “il punto di vista del figlio” come luogo della rivelazione di Dio.
Riuscirà il discepolo che accoglie nel bambino l’invocazione piena di speranza di Gesù abbandonato a mantenere aperta la relazione con Dio fino a incontrarlo a un nuovo livello del rapporto, quello del figlio-Gesù accolto-glorificato dal Padre?



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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