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La spiritualità dell’adozione. Alberto Cozzi. L’abbandono può contenere un dono? (10)

Ogni volta che si accoglie un piccolo abbandonato si entra nella logica del donarsi di Dio in Gesù: si tratta di un dono che crea legami nuovi da “figli adottivi”.


Sul numero 4 della rivista “Lemà sabactàni?”, il teologo Alberto Cozzi (vicepreside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e preside dell’ISSR di Milano), ha dedicato un lungo contributo a una riflessione sul tema dell’abbandono, provando a porsi in ascolto di chi abbandona e indagando se possa essere considerato uno scandalo cercare e trovare un dono nell’abbandono.
Cozzi pone in evidenza come la vera sfida per la fede sia proprio cercare di scoprire il senso e le dimensioni dell’abbandono della croce, il luogo dove Dio Padre abbandona Gesù Figlio. Tale comprensione non si rende disponibile senza entrare nell’intimità delle relazioni trinitarie, tra Padre e Figlio nello Spirito del loro amore. Solo da questa prospettiva si possono sentire le armoniche della relazione di abbandono/consegna tra Padre e Figlio, fino a percepire un «dono nell’abbandono» che trasforma i legami e le relazioni tra figli di Dio in un processo di trasfigurazione della realtà.
Qui, proponiamo il contributo di Alberto Cozzi suddividendolo in 11 tappe, introdotte da una riflessione di Gianmario Fogliazza che si può leggere QUI.

Il percorso è diviso in undici tappe. Questa è la decima.
(Per la nona, QUI)

Decima Tappa

L’abbandono può contenere un dono?

In ogni dono ci sono almeno tre ingredienti: la relazione (l’essere per il dono) – il desiderio di comunione (invocazione al riconoscimento del dono e attesa) – l’altro (riconoscimento del dono e assunzione dell’obbligo inscritto ossia della responsabilità per altri).

Se da questa analisi del donare si può intuire come l’abbandono possa essere vissuto diversamente ai tre livelli del dono: come appello a interpretare il legame, come desiderio di comunione con l’altro e come affidamento al suo libero riconoscimento. Nella dinamica del dono è inscritto una sorta di abbandono, che crea nuovi legami o accede a un nuovo livello di profondità della relazione. Si realizza uno “scambio simbolico di comunione”, che ridescrive i legami sociali.

Leggendo l’esperienza di Gesù nel Getsèmani e sulla Croce siamo provocati a guardare un avvenimento di consegna-tradimento che ha la forma dell’abbandono. Gesù si consegna al suo destino abbandonandosi al Padre suo e alla sua volontà (Getsèmani) fino a sentirsi abbandonato da Dio sulla croce (grido di Gesù). Lo spazio tra queste due forme di abbandono è lo spazio di una consegna, uno svuotamento, che non è pura perdita: «la carne è debole, ma lo spirito è forte». Il discepolo è invitato a leggere nell’abbandono di Gesù al Padre e nel suo sentirsi abbandonato da Dio l’affidamento in cui si realizza un dono, che è il loro Spirito e la sua forza. Ma, di nuovo, questo Spirito donato nello spazio dell’abbandono è un nuovo ordine di relazioni, una profondità nuova e impensata di rapporto, che rimanda a un certo ordine relazionale in cui emerge l’identità del Figlio generato dal Padre, proprio attraverso l’abbandono della croce e il dono vivificante dello Spirito.

Chi si lascia animare da questo desiderio di Gesù (ossia il suo Spirito) che si dona/abbandona, entra nella nuova relazione con Dio e scopre la verità del Padre che anima l’abbandono di Gesù. Si realizza così quel dono dello Spirito/amore che crea nuovi legami, una nuova comunione tra Dio e l’uomo. Così l’assenza del corpo crocifisso/donato diventa lo spazio in cui si riceve lo Spirito di Gesù e si è resi capaci di riconoscere il dono/amore di Dio, realizzando la relazione con Dio propria di Gesù stesso. Detto altrimenti: entrando nel dono/abbandono di Gesù, ci si scopre consegnati a Dio in modo nuovo e affidati a se stessi a partire da un nuovo legame, da una nuova relazione che lo Spirito del Figlio realizza in noi.

Tutto ciò significa che la vera sfida per il discepolo di Gesù non consiste nel ricevere e riconoscere i doni di Dio, quanto piuttosto di entrare nel “donarsi di Dio” e quindi di sperimentare lo Spirito con cui Dio li dona, ovvero il donare che è Dio stesso. Se si accede a questa logica si entra nei nuovi legami instaurati dal dono di Dio in Cristo. È proprio la libertà di Gesù il luogo in cui si è posti di fronte al dono di Dio, in maniera originaria. Questa libertà è definitiva e insuperabile proprio perché inserisce nella logica stessa del dono, rendendo partecipi del donarsi di Dio stesso all’uomo e quindi del donarsi eterno che è Dio stesso (Trinità). Gesù Cristo diventa quel luogo in cui l’uomo è donato a se stesso secondo la misura del dono di Dio, ed è il luogo in cui, ricevendosi dal dono di Dio, l’uomo è messo in grado di donarsi con la stessa misura.

In Cristo, dunque, l’uomo non solo è in grado di riconoscere e accogliere il dono di Dio, ma è introdotto nel donarsi di Dio, in modo da appropriarsi veramente del dono che egli è per se stesso e quindi per gli altri. È in questo contesto che va inserita la parola di Gesù: «L’avete fatto a me» (Mt 25,40), ovvero la sua identificazione coi piccoli e i bisognosi nella logica dell’accoglienza. Si può dire che ogni volta che si accoglie un piccolo abbandonato e bisognoso si entra nella logica del donarsi di Dio in Gesù e si scoprono, anzi si realizzano quei legami nuovi che il dono di Dio va creando tra gli uomini in Cristo.

A questo livello dell’esperienza della croce e dell’abbandono con Gesù e in Lui si può percepire un dono nell’abbandono. Si tratta di un dono che crea legami nuovi da “figli adottivi”.



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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inserendo la causale "sostegno vocazione all’accoglienza familiare"..