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Chi ce lo ha affidato questo bambino? Ci dev’essere un disegno, da qualche parte

Perché sulla terra nessuno deve restare senza famiglia, l’agnello e il lupacchiotto, il drogato e il figlio di papà. Tutti alla sera devono andare nella loro casa

All’origine della storia di genitori adottivi c’è quasi sempre un dramma: una malattia seria, la scoperta dell’infertilità. È come un brutto risveglio da un sogno, dover rinunciare a quello che ogni persona legittimamente si aspetta. Si è frastornati, si recalcitra, ci si ribella. Alla fine, ci si piega al “destino”.

Incomincia così la nostra vocazione.

Qualcuno ci sta chiamando (vocare=chiamare). Bisogna interrompere ogni cosa, lasciare a metà il lavoro, cambiare vita. Abbiamo provato a pensare a tutte le voca­zioni che si trovano nella Bibbia: hanno tutte lo stesso ini­zio. Saulo, fiero del suo lavoro, che viene disarcionato da cavallo; Abramo, che deve lasciare la sua terra; Pietro e Andrea che devono abbandonare le reti da pesca, Matteo i suoi tributi.

Da una disgrazia può nascere una grazia. Ci vuole tempo.

Si capisce molto tempo dopo che qualcuno, a nostra insaputa, ci aveva preso per mano e instradato dove voleva. Aspettava qualcuno quel bambino abbandonato e noi siamo comparsi a rigenerare il suo orizzonte. Lo avrebbe deciso un giudice, ma è stato scritto nelle stelle dalla nostra disponibilità. Non certo perché eravamo i migliori, ma perché era stato voluto così “laddove si puote ciò che si vuole”.

Abbiamo accettato che la nostra vita fosse sconvolta da uno sconosciuto, da un moccioso che ci avrebbe dato qualche grattacapo non necessario. Lo abbiamo accolto nel nostro piccolo cerchio, che rischiava di diven­tare asfittico. Anzi, siamo andati a prenderlo, l’abbiamo voluto tra­piantare nel nostro giardino, l’abbiamo curato delle sue ferite.

Alla sua vista è scattata una scintilla in noi: chi ha provato lo sa.

Come seguendo un istinto ancestrale, ci siamo subito comportati “da genitori”, sentiti padre e madre, anche se non era carne della nostra carne, essere genitori. Trasferire al proprio figlio gratuitamente, senza secondi fini, quello che di più intimo si ha, l’essenza stessa della nostra persona. Anche la nostra “roba”, il frutto della nostra fatica. Perché lui risplenda, cresca bene, meglio di quello che abbiamo saputo fare noi.

È entrato come un fulmine nella nostra vita, ci ha posto in maniera dirompente i suoi bisogni. Ci ha costretto a sfoderare tutte le nostre energie, facendoci scoprire risorse sconosciute. Abbiamo capito che questa era la nostra vocazione. Vocazione è sentirsi portati a fare qualcosa. Qualcosa che per ciascuno di noi è speciale. Il mestiere della nostra vita.

La vocazione a genitori adottivi?

È un insieme di entusiasmo, egoismo, altruismo, speranza, ansia e sacrificio, incoscienza, tenacia, gratuità, depressione, terzomondismo, disponibilità, pazienza e, alla fine, amore. Non sapremmo dare altra definizione razionale. Questa piccola creatura ha investito tutto su di noi, rischiando la sua crescita. Lui vuole una mamma. Sono qui, sono io la tua mamma” di giorno e di notte devi sapergli rispondere. Devi ricostruire un’identità perduta, spiegargli con tatto che lui ha due mamme, sconfiggere un passato che riaffiora in ogni momento, vincere il suo senso di precarietà, contenere la sua rabbia, restituirgli un po’ di serenità e pace. Convincerlo che, nonostante i torti subiti e quello che gli è stato derubato ‑ e nessuno gli restituirà ‑ vale la pena di stare in questo mondo.

Chi ce lo ha affidato questo bambino?

Ci dev’essere un disegno, da qualche parte. Perché sulla terra nessuno deve restare senza famiglia, l’agnello e il lupacchiotto, il drogato e il figlio di papà. Tutti alla sera devono andare nella loro casa. E noi genitori adottivi siamo coprotagonisti (inconsapevoli?) di questo grande gioco planetario. Ci è stato affidato come qualcosa di caro, un dono molto speciale, proprio per noi. Una rosa, bella e con le spine. Facciamo il mestiere di Dio Padre, perché noi tutti siamo suoi figli adottivi.

 Linda e Vittorio

(cf La Pietra Scartata, 47-49)



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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