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L’ultima “traccia” di Giuseppe: l’equivoco sull’identità di Gesù “figlio di Giuseppe” (5)

La lezione di Giuseppe: “Sei disposto ad accogliere un figlio come cosa tua, anche se non viene da ciò che ti è familiare?”

 I contributi raccolti nel fascicolo n. 6 della rivista “Lemà sabactàni?” sono dedicati a Giuseppe con l’intento di avvicinare lo sposo di Maria e padre di Gesù, riprendendone e contemplandone i tratti peculiari, rintracciando in lui il profilo universale dell’esperienza della paternità anche adottiva. Sono state quindi esplorate le dinamiche della sua relazione sponsale e paterna istituita con Maria e Gesù lasciando emergere e affrontando alcuni quesiti: Giuseppe può essere idoneamente indicato come “padre adottivo” di Gesù o la figura del “padre putativo” esaurisce e sospende ogni plausibile ulteriore comprensione? L’esperienza dell’adozione e le sue specifiche caratteristiche appartengono alle dinamiche del rivelarsi di Dio in Gesù o ricercare e riconoscere nella Storia della Salvezza tale prospettiva conclude per essere esercizio inutile, arbitrario e fuorviante?

Tra i diversi studi raccolti, qui volentieri riproponiamo il contributo sul tema del teologo Alberto Cozzi (vicepreside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e preside dell’ISSR di Milano) –La missione di Giuseppe. Se incarnazione e adozione si incontrano – il quale non intende semplicemente accostare e interpretare Giuseppe come “padre adottivo” di Gesù, ma verificare il significato dell’adozione alla luce del ruolo di Giuseppe nell’accogliere la nascita di Gesù da Maria.
La pubblicazione del contributo di Alberto Cozzi, si articola in 6 tappe. Questa è la quarta. (Per leggere la quarta, QUI). L’intero contributo si può leggere acquistando il numero 6 della rivista “Lemà sabactàni?” QUI

 Quinta tappa

L’ultima «traccia» di Giuseppe: l’equivoco sull’identità di Gesù «figlio di Giuseppe»

Siamo ormai nel contesto del ministero pubblico di Gesù, in Galilea. La gente è affascinata dalle opere del profeta di Nazareth e comincia a chiedersi «chi è costui che compie simili cose nel nome di Dio?». Nasce, insomma, la questione radicale sul «luogo di Gesù», sulla sua origine.

Anche in questo contesto Giuseppe mantiene (indirettamente) il ruolo di testimone della vera identità di Gesù. Eppure, è già «uscito di scena».

Ci riferiamo all’episodio di Nazareth, secondo la versione di Luca (Lc 4,16-30). I compaesani di Gesù ne fallisco l’identità vera e quindi il senso della missione a causa di una sorta di «cattiva familiarità» che gli impedisce di rendersi conto veramente di cosa sta accadendo. «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (Lc 4,22).

L’identità è vera, ma non è l’essenziale. Si pensa di conoscere Gesù e si cerca di riconoscere il significato dei suoi gesti e della sua sapienza a partire dai legami familiari noti. Si attualizza l’errore su cui Luca aveva cercato di rendere avvertiti all’inizio della sua genealogia: «Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent’anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe …» (Lc 3,23). Si fallisce il suo mistero personale e il senso della sua missione, proprio perché questi vengono letti su uno sfondo sbagliato.

Ritorna proprio qui, implicitamente, la lezione di Giuseppe che ci chiede: da dove ricevi Gesù, da quali legami, evidenze, attese?

Sei disposto ad accoglierlo come cosa tua, anche se non viene da ciò che ti è familiare? È la grande testimonianza di Giuseppe sul problema del «luogo di Gesù» (da dove viene? Dove va? Dove lo devo collocare per ascoltarne, senza fallirne il senso, la parola?).

Se manca la partecipazione all’atto obbediente e identificante di Giuseppe, che riconosce in quel figlio un dono divino e non qualcosa di suo, si fallisce l’accoglienza di Gesù, delle sue opere e della sua parola.

Non posso comprendere Gesù e ciò che dona a partire da ciò che mi è familiare, abituale, ovvio o evidente. C’è un legame identificante che funziona diversamente.

 



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