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Amoris Laetitia. La carità tutto sopporta (14)

Sopportare significa riconoscere quando è il momento di fermarsi. Non significa tollerare, perché in questo non c’è benevolenza, amabilità. Non significa nemmeno subire, perché in questo non c’è relazione ma dipendenza

 Il 19 marzo 2021 è cominciato l’anno “Famiglia Amoris Laetitia”, che si è concluso il 26 giugno 2022, a Roma, con l’Incontro Mondiale delle Famiglie, a dieci anni esatti di distanza da quello di Milano del 2012.


L’8 dicembre scorso, festa dell’Immacolata Concezione di Maria, Papa Francesco ha proclamato anche l’anno speciale di San Giuseppe. Abbiamo vissuto, quindi, un doppio “anno speciale”, che ha messo felicemente insieme, al centro, la famiglia e colui che, avendo saputo custodire la Sacra Famiglia, è un modello e un intercessore per tutti i papà (e tutte le mamme) di tutti i luoghi e di tutti i tempi.

Per aiutare ad approfondire i temi della famiglia e dell’amore coniugale, a cinque anni dalla pubblicazione di Amoris Laetitia, Papa Francesco ha invitato tutti i fedeli a “fare il punto della situazione”, donando un piccolo e prezioso vademecum sull’amore coniugale e familiare ed esortando a non considerarci mai arrivati all’obiettivo, ma a continuare a confrontarsi con il testo, per rimettersi in discussione e, se necessario, in cammino.

In particolare, il quarto capitolo è dedicato all’amore nel matrimonio, con un richiamo al famosissimo brano biblico, che nella tradizione cristiana viene chiamato “inno alla carità”. Proveremo ad approfondire la lettura che il Papa propone della carità e delle sue caratteristiche attraverso 14 contributi, coprendo così l’intero anno dedicato alla lettura, allo studio e all’approfondimento di Amoris Laetitia.

Puntata 14

(Per leggere la puntata 13 QUI)

Il nostro percorso di riflessione su una parte dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia di Papa Francesco termina qui, con il quattordicesimo contributo. L’Incontro Mondiale delle Famiglie (World Meeting of Families) della Chiesa Cattolica, incontro in previsione del quale è stato progettato questo percorso, si è ormai svolto dal 22 al 26 giugno a Roma, a dieci anni di distanza dall’IMF di Milano 2012, cui molti di noi hanno partecipato.

Siamo quindi giunti quindi all’ultimo passo del nostro cammino di riflessione sulla prima parte del capitolo quarto di Amoris Laetitia, pubblicata nel 2016, come raccolta e rilancio dei due sinodi dei vescovi sulla famiglia (tenutisi a Roma nel 2014 e nel 2015), che tratta di quello che la tradizione della Chiesa ha definito l’“Inno alla Carità paolino”, dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi (capitolo 13, versetti 4-7): “La carità è paziente, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”.

Ricordiamo che le prime dodici caratteristiche e frutti maturi della carità, di cui abbiamo proposto un commento nei mesi scorsi sono quelli della pazienza, della benevolenza, della guarigione dall’invidia, dell’umiltà, dell’amabilità, del distacco generoso, dell’assenza di violenza interiore, del perdono, del rallegrarsi con gli altri, dello scusare tutto, dell’avere fiducia e dello sperare sempre nel cambiamento del fratello.

In questa riflessione faremo riferimento ai numeri 118 e 119 dell’esortazione, dedicati dal nostro caro papa alla carità che tutto sopporta.

La carità tutto sopporta

 La carità che tutto sopporta fa parte dell’insieme di quattro espressioni che ricomprendono il concetto di “tutto” e che costituiscono nell’inno paolino le caratteristiche della carità dalla decima alla tredicesima ed ultima. Le quattro espressioni sono: la carità tutto scusa, tutto crede, tutto spera e tutto sopporta.

Come già abbiamo commentato nelle scorse riflessioni, il “tutto” nell’amore coniugale e familiare esprime molto bene la totalità di questo amore che, in quanto tale, scusa, sopporta ma soprattutto crede e spera. Con questi presupposti nella relazione familiare sembra che non ci possano essere limiti alla serenità, alla pienezza di vita, alla fecondità, alla generatività e alla libertà di ognuno.

L’espressione greca panta hyponomei, contenuta nell’originale paolino, significa sopportare con spirito positivo tutte le contrarietà. Significa, ci dice Francesco, “mantenersi saldi nel mezzo di un ambiente ostile” (AL 118). Questa caratteristica e frutto decisamente maturo della carità permette di non adattarsi, ma anzi di andare controcorrente con testardaggine convinti che in qualsiasi situazione di difficoltà non può esserci solo male, fiduciosi che esiste un bene in ogni persona che niente può annullare: “una resistenza dinamica e costante, capace di superare qualsiasi sfida. È amore malgrado tutto, anche quando tutto il contesto invita a un’altra cosa” (AL 118).

Il Papa, a questo proposito fa una lunga citazione del sermone tenuto dal pastore protestante Martin Luther King in una chiesa Battista di Montgomery, nell’Alabama, nel 1957. In questo sermone King invita, in un’ambiente bianco impregnato d’odio verso la gente di colore, a non rispondere all’odio con l’odio, ma a capire che le persone che ti odiano sono intrappolate in un sistema negativo e che anche queste persone hanno bisogno di essere amate proprio per distruggere quel sistema che le imprigiona.

 Rispondere alla violenza con l’amore

“Quando si presenta l’opportunità di sconfiggere il tuo nemico, quello è il momento nel quale devi decidere di non farlo” ha detto King. Fermarsi prima di travalicare il limite da cui poi è difficile fare ritorno. È questo il metodo dell’amore e della non violenza, che ha avuto un altro sublime interprete in India con Gandhi. Vuol dire rispondere alla violenza con l’amore. Vuol dire amare i propri nemici, come ci ha supplicato di fare il Maestro. Vuol dire non innescare in famiglia discussioni che sappiamo possono solo portare a dire cose che mai avremmo voluto dire o che nemmeno pensiamo in quanto generate dalla sola rabbia. Fermarsi ed amare, amare chi mi sta provocando per disinnescare la miccia del litigio. Usare parole amabili e soprattutto sperare.

Questa potenza dell’amore, che ci smarca dal male con una “resistenza dinamica e costante, capace di superare qualsiasi sfida” (AL 119), è fondamentale anche nella vita familiare, come ci indica anche Francesco. La Carità non si lascia dominare dal disprezzo che anche i familiari possono suscitare, dal desiderio di vendetta, dal male minaccioso. E qui, per esemplificare concretamente, il Papa ci racconta delle donne che hanno dovuto separarsi dal coniuge per proteggersi dalla violenza fisica, ma continuano, a distanza, ad aiutarlo come possono, specie nella malattia e nella difficoltà. Questo è un grande esempio di carità coniugale che sa andare oltre anche ai sentimenti, che possono essere negativi, verso il coniuge.

Rimanere nel bene e decidere di non rispondere agli attacchi, anche in famiglia

Ma senza arrivare a questi casi estremi, è facile cadere nel vittimismo nelle relazioni matrimoniali ed addossare ogni colpa al coniuge delle proprie difficoltà, diventando in realtà carnefici con spirito di accusa: “se tu fossi più … meno … io potrei”; queste parole sono purtroppo frequenti tra le coppie, ma questo atteggiamento non è “dinamico e costante” nonostante si potrebbe pensare che la costanza sia nell’evidenziare i limiti dell’altro! La costanza in realtà significa “stare” nel bene e il dinamismo consiste nel prendere l’iniziativa di decidere di non rispondere agli attacchi, per riprendere M.L. King. Non siamo chiamati a cambiare la persona che abbiamo scelto come marito o moglie (la Carità tutto spera), ma è importante uscire dai “sistemi maligni”, quei circoli viziosi che rischiano di trasformarsi in vortici discendenti. Sopportare significa riconoscere quando è il momento di fermarsi, quando ci stiamo infilando in una strada senza uscita. Non significa tollerare, perché in questo non c’è benevolenza, amabilità e nessun’altra caratteristica costitutiva della Carità. Non significa nemmeno subire, perché in questo non c’è relazione ma dipendenza.

Il “tutto sopporta” è l’apice della scala nella crescita dell’amore coniugale, un percorso faticoso ma lineare, somma di fatiche che portano alla gioia che ogni famiglia dovrebbe poter vivere e testimoniare. Tutto ciò può avvenire se ci si affida alla grazia del sacramento del matrimonio, come agente “volto a perfezionare l’amore dei coniugi” (AL 89). Questa grazia del matrimonio e un’azione del tutto speciale dello Spirito Santo all’interno della coppia che consente a essa di crescere costantemente nell’ amore reciproco. Ma come sempre c’è la volontà dell’individuo che deve lasciar lavorare, penetrare nella relazione col proprio coniuge questo dono perché sia tale. I doni sono dono solo se accolti, altrimenti rimangono pacchetti chiusi nelle nostre vite, anche ingombranti a volte.

La Carità coniugale “è l’amore che unisce gli sposi, santificato, arricchito e illuminato dalla grazia del sacramento del matrimonio.

 È «un’unione affettiva», spirituale e oblativa, che però raccoglie in sé la tenerezza dell’amicizia e la passione erotica, benché sia in grado di sussistere anche quando i sentimenti e la passione si indebolissero.” (AL 120)

Papa Francesco ci spinge a farci testimoni del Vangelo del matrimonio e della famiglia, inteso in senso etimologico, come la buona novella da donare al mondo, annunciando che la famiglia, e a monte il rapporto tra un uomo e una donna che si costituisce nella coppia cristiana, è celestiale se vissuta nella Carità.

Ti preghiamo, o Santa Trinità, rendici sempre più degni del sacrificio di Cristo, rendici abitati da questa carità di cui il tuo servo Paolo si è fatto cantore e interprete nel mirabile inno alla carità. Una carità che ci rende migliori e ci permette di vivere la vita famigliare in santità e letizia, così come è nella tua volontà. Amen

Cristina e Paolo Pellini – Comunità la Pietra Scartata



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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