Quel figlio che ha riempito in modo sbagliato un’attesa, non corrisponde a ciò che era desiderato e non può rispondere all’identità del cammino che la coppia Abramo-Sara ha dispiegato davanti ad essa dalla promessa di Dio

Tra i testi raccolti nel fascicolo n. 1 della rivista “Lemà sabactàni?” troviamo il contributo del biblista Davide Pezzoni (abbandono-accoglienza alla luce della Bibbia) il quale avvia il proprio contributo chiedendosi come la riflessione sulla Parola di Dio riesca a rintracciare nella Sacra Scrittura quelle linee di fondo che danno al cristiano il senso di ciò che vive, tracciando un percorso che porta alla realizzazione di ciò che Dio al principio riconobbe come “cosa buona”.

Consapevole della varietà dei metodi e degli approcci nella riflessione sulla Bibbia, Pezzoni illustra quanto la Bibbia ci rivela sulle realtà umane dell’accoglienza e dell’abbandono, lasciandoci provocare dalla realtà esistenziale, dai volti di quanti hanno diritto ad avere una famiglia e ne sono stati in qualche modo privati.

Proprio per il contatto con tali realtà, la Scrittura non può che aiutarci a leggerne le profondità e viverne il senso autentico, mentre ci offre la storia dei figli e fratelli Isacco e Ismaele con le dinamiche dell’accoglienza e dell’abbandono, vicende lette e comprese col contributo della teologia biblica.

Per una completa ed organica lettura del contributo di Davide Pezzoni, ricalibrato per esigenze redazionali in questa occasione, suggeriamo l’acquisto del fascicolo n. 1 della rivista. QUI

Oggi vi proponiamo la quinta tappa. Per leggere la quarta QUI

Tappa 5

 Il cammino cui sono chiamati Sarai e Abram

Il cammino per Sarai e Abram sarà lungo, passerà attraverso una nuova promessa (capp. 17 e 18, con il dono dei nomi nuovi), che vivrà l’esperienza di Dio come di colui che ascolta e salva, distruggendo il male (cap.19), e che vedrà ancora nel padre dei credenti la difficoltà ad affidarsi pienamente al Signore (cap. 20). Anche se gli esegeti, conoscitori fini della filologia, non sono tutti d’accordo, il testo biblico, forse con un filo in più di azzardo e ironia affettuosa, gioca sull’etimologia dei nomi: Abram diventa Abramo, padre di una moltitudine, mentre Sarai diventa Sara, una principessa agli occhi di Dio, perché potrà realizzare la verità della sua vita di sposa e moglie, dando un figlio a suo marito.

Fino al prosieguo della storia dei due fratelli (cap. 21), dove Abram e Sarai sono ora Abramo e Sara, persone rinnovate dall’incontro con l’Altissimo ma ancora persone umane, con tutto il carico di incapacità ad affidarsi completamente a Colui che conosce il profondo di ogni cuore. Così i nomi diversi tra i due racconti dicono la storia di persone che sono ormai diverse, persone che hanno iniziato a vivere il timor di Dio (secondo la connotazione che questo ha nella tradizione di Israele) sperimentando in esse il dono della sapienza, quella che permette di vedere le vie di Dio e giudicare la quotidianità della vita con la Sua misura.

Ma ancora non tutto è risolto, e se il popolo di Israele verrà in seguito definito spesso come un popolo dalla “dura cervice”, si può forse affermare che anche questo tratto sarà un pezzetto dell’eredità tramandata dai suoi due antesignani (a modo di esempio si può citare la doppia vicenda della moglie presentata da Abramo come sorella ai re dei popoli stranieri incontrati nel viaggio per giungere al paese che il Signore aveva indicato, escamotage utilizzato per paura, con una certa mancanza di fiducia in Dio la prima volta, e con una buona dose di testardaggine la seconda … cfr. Gn 12,10-20 e Gn 20,1-17). La considerazione che il popolo ha la “testa dura”, che è testardo, che si è indurito nel male, ritorna ben 16 volte nell’Antico Testamento (dalla prima ricorrenza, in Esodo 32,9; 33,3.5; 34,9, in poi “popolo dalla dura cervice” è quasi un’espressione idiomatica per indicare Israele; alcuni esegeti interpretano questa espressione dandole il significato di “popolo dal collo rigido”, figura metaforica che indica l’incapacità ad obbedire al Signore e Creatore, di chinare il capo davanti a Lui in ascolto e timore (che è sempre, per la tradizione sapienziale, il “principio della sapienza”, cf. Pr 1,7; Sir 1,9-29).

Il Signore però riprende in mano la situazione, e si permette di intessere nelle difficoltà di rapporto tra Abramo, Sara e Agar una via nuova che possa finalmente portare alla realizzazione di ciò che aveva più volte promesso (forse si può leggere la fine del racconto del capitolo 21 tenendo sullo sfondo le parole di san Paolo: tutto concorre al bene di coloro che amano Dio … Rm 8,28). Nuove possibilità, la via riaperta al Signore, pur sempre a lottare con l’umana “testa dura”, nuovi sentimenti tra le persone coinvolte che portano a un modo diverso di relazionarsi (vedi la differenza di atteggiamento di Abramo nell’allontanare Agar ora, rispetto alla prima sua fuga per i maltrattamenti di Sara), permettono al piano di Dio di continuare a prender forma.

Possiamo qui osservare che spesso i commentari non trattano del capitolo 21, accorpandolo (o dando per scontato che ci si riferisca anche ad esso) al commento del capitolo 16. In realtà una tale impostazione è frutto di un’esegesi che “seziona” i testi a seconda della “tradizione” di appartenenza, e dimentica che la struttura complessiva della redazione definitiva del testo, e il genere e le qualità narrative dei racconti sono altrettanto importanti per coglierne il senso anche teologico. Così il capitolo 21 ha una sua propria fisionomia, come sviluppo narrativo della vicenda di Abramo, sviluppo che coscientemente riprende e compie il racconto del capitolo 16. Ciò che di significativo viene raccontato è forse proprio ritrovabile negli agganci e nelle differenze che i due racconti presentano.

Si parte dal dono, sperato, desiderato e preteso, per ritrovarci all’abbandono: quel figlio che ha riempito in modo sbagliato un’attesa, non corrisponde a ciò che era desiderato, e non può rispondere all’identità del cammino che la coppia Abramo-Sara ha dispiegato davanti ad essa dalla promessa di Dio. Altre saranno le vie su cui Ismaele dovrà camminare, altro sarà il popolo a cui darà il proprio nome. Ma questo inizio di pretesa e abbandono lascerà per sempre segni profondi tra le famiglie dei due fratelli, segni raccontati nella Genesi per situare, al principio di tutto, il motivo dell’eterno contrasto tra popoli di origine semitica, contrasto ancora oggi così lacerante e attuale in Terra Santa, con la violenza che regna tra ebrei (israeliti…) ed arabi (ismaeliti…).

 

 

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