Dio sa che l’uomo ha dentro di sé questa necessità, l’avere un padre e una madre: Dio sente quel grido disperato, e riapre la speranza
Tra i testi raccolti nel fascicolo n. 1 della rivista “Lemà sabactàni?” troviamo il contributo del biblista Davide Pezzoni (abbandono-accoglienza alla luce della Bibbia) il quale avvia il proprio contributo chiedendosi come la riflessione sulla Parola di Dio riesca a rintracciare nella Sacra Scrittura quelle linee di fondo che danno al cristiano il senso di ciò che vive, tracciando un percorso che porta alla realizzazione di ciò che Dio al principio riconobbe come “cosa buona”.
Consapevole della varietà dei metodi e degli approcci nella riflessione sulla Bibbia, Pezzoni illustra quanto la Bibbia ci rivela sulle realtà umane dell’accoglienza e dell’abbandono, lasciandoci provocare dalla realtà esistenziale, dai volti di quanti hanno diritto ad avere una famiglia e ne sono stati in qualche modo privati.
Proprio per il contatto con tali realtà, la Scrittura non può che aiutarci a leggerne le profondità e viverne il senso autentico, mentre ci offre la storia dei figli e fratelli Isacco e Ismaele con le dinamiche dell’accoglienza e dell’abbandono, vicende lette e comprese col contributo della teologia biblica.
Per una completa ed organica lettura del contributo di Davide Pezzoni, ricalibrato per esigenze redazionali in questa occasione, suggeriamo l’acquisto del fascicolo n. 1 della rivista. QUI
Oggi vi proponiamo la sesta tappa. Per leggere la quinta QUI
La vicenda di Agar e Ismaele
Nella vicenda di Ismaele e Agar, abbandonati nel deserto, ritroviamo alcuni tratti importanti per la nostra riflessione. Il dramma di Agar, madre che nella necessità ineluttabile è costretta ad abbandonare il suo bambino, non riuscendo a trovare più vie di uscita: moriranno entrambi, e nella disperazione di non poter trovare una possibilità di sopravvivenza per il proprio figlio l’unica cosa che ancora riesce a pensare è che non potrebbe sopportare il dolore di vederselo morire tra le braccia, quel figlio che è arrivato come un dono inaspettato, che non doveva esser neppure suo, e per conservare il quale – nonostante fosse legalmente di Sara – ha perso il lavoro, la tribù che l’ospitava, il suo padrone-marito Abramo, e ora anche la vita; il dramma di Ismaele, figlio preteso da Sarai ma non sentito come proprio, voluto a tutti i costi e poi abbandonato, e addirittura sentito come una minaccia, nel momento in cui Isacco ha realizzato la promessa.
In questo dramma senza speranza il Signore ascolta il grido del bambino, che inizia a piangere non appena è abbandonato: il piccolo Ismaele forse non ha nemmeno intuìto perché lui e la mamma abbiano dovuto abbandonare casa, perché non sia più insieme a quell’altro bimbo con cui giocava, il suo fratellino Isacco; è un bimbo, non può accorgersi dell’ineluttabilità della morte che nel deserto incombe non tanto come minaccia, ma come certezza; non patisce l’aver perso famiglia e padre, finché ha vicino la mamma. Ma quando la mamma non è più lì, con la sua presenza, il suo odore, il suo corpo, la sua cura, il suo calore, allora quell’assenza improvvisa di tutto il mondo da lui conosciuto, di ogni soddisfazione e sicurezza, quel vuoto totale che ora ha intorno, gli urlano: sei stato abbandonato! E questa cosa insopportabile contraddice tutto quello che fino ad ora la vita, attraverso il grembo, le braccia, il seno della madre gli aveva promesso.
Grida quel bimbo, e diventa Ismaele; bello il gioco narrativo sul verbo “ascoltare”, nell’intreccio tra i vari soggetti: Dio, Abramo, Sara, Agar, il bimbo … Al v. 16,11 l’angelo del Signore consola Agar, perché Dio ha ascoltato la sua sofferenza, e quel bimbo prende nome “Dio ascolta” (come l’etimologia popolare riportata proprio in quel versetto spiega); ma Ismaele vede inverato il suo nome quando Dio ascolta proprio il suo grido di bimbo senza speranza, e riapre per lui e la madre un cammino di vita.
Quel bambino grida e diventa Ismaele, Dio l’ha ascoltato, perché Dio sa quanto sia insopportabile quell’abbandono, Lui che non è mai solo, Lui che è Amore in sé, e che ha realizzato fuori di sé l’amore creando proprio l’uomo, quella creatura di terra e spirito capace di ricevere e dare con lo stesso Spirito di Dio. Basterebbe qui velocemente richiamare alcuni passi del vangelo di Giovanni (Gv 8,29; 10,30; 17,10-22), oppure vedere come parla il libro dei Proverbi della preesistenza della Sapienza (8,22-31).
Dio sa che l’uomo ha dentro di sé questa necessità, l’avere un padre e una madre, il sentire la sicurezza delle proprie origini, personificata in quella coppia che lo tiene in braccio. Dio sente quel grido disperato, e riapre la speranza: va dalla madre, perché torni ad abbracciare il suo bimbo, Ismaele, che reclama il diritto di avere una mamma, una vita, un futuro.
Futuro che realizzerà il dramma della fraternità vissuta nel contrasto, dramma che fa parte del mondo, di quel mondo che l’uomo ha rovinato con la sua ostinata decisione di allontanarsi dal proprio Principio. “Io non ti abbandonerò” dice il Signore: è qui la sicurezza della custodia di quel dono originario della vita dell’uomo che a lui promette, fin dal primo istante di vita nel grembo della madre, la propria realizzazione nel bene.
Il cammino di Dio accanto all’uomo, raccontato nel dipanarsi della Scrittura di Israele, è segnato profondamente proprio da questa prospettiva, che non a caso porta al compimento cristologico che si realizza nel nome di un Dio che è l’Emmanuele (letteralmente: “Dio con noi”, cf. Is 7,14 e Mt 2,23), e che con la sua morte e resurrezione ci fa toccare concretamente perché possiamo accogliere quell’espressione di consolazione ed esortazione che il Signore – o chi sta parlando della sicurezza che l’affidarsi al Signore dona – spesso ripete: “Non temere!”. Un’espressione che ritorna ben 61 volte nella Bibbia, di cui 11 nel N.T..
E su questa speranza certa, che ci è insegnata fin dal principio (Is 49,15: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherei mai” dice il Signore; cf. anche Gn 28,15), ed è realizzata per noi nella Croce di Cristo, il Figlio abbandonato che si consegna per amore affinché tutti abbiano un Padre che non abbandona, si muove la nostra riflessione, il lavoro faticoso di chi cerca di dare a tutti i bambini la possibilità di realizzare il loro diritto ad avere una famiglia.
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