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Coppie Sante (4). La normalità quotidiana che apre allo straordinario. Lelia e Ulisse Amendolagine

Sposati per “soli” 21 anni, prima che una malattia porti alla morte Lelia, i coniugi Amendolagine sono un esempio di come la semplicità della vita di tutti i giorni possa aprirsi, illuminata dalla fede, alla dimensione straordinaria del miracolo


Quante coppie nella loro “cristiana normalità”, hanno condotto un cammino di vita santo, portando la luce della fede in famiglia, nell’educazione dei figli e nella vita che li ha circondati?
San Giovanni Paolo II desiderava fossero canonizzati coniugi cristiani esemplari. Coppie impegnate come tante, forti nella fede ma non senza momenti di dubbio e paura. Santi della porta accanto.

Abbiamo già presentato le coppie
Maria Corsini e Luigi Beltrame Quattrocchi
Daphrose Mukansanga e Cyprien Rugamba
Laura ed Eduardo Ortiz

Oggi vi presentiamo la quarta coppia santa:

Lelia e Ulisse Amendolagine

Ulisse nasce a Salerno nel 1893. Il padre è un dipendente ministeriale e la famiglia si trasferisce in diverse città italiane seguendo il suo lavoro. Alla fine, gli Amendolagine si stabiliscono a Roma, dove Ulisse si laurea in giurisprudenza nel 1917 e, seguendo le orme del padre, trova lavoro al Ministero dell’Interno. Lì farà carriera fino ad arrivare al ruolo di prefetto.
Benché il posto che occupa sia spesso soggetto alle richieste di favori e regalie, Ulisse, uomo integerrimo, rifiuta costantemente di elargire gli uni e di accettare le altre.
I suoi anni giovanili, quelli degli studi, sono contraddistinti da ambienti in cui la fede e la Chiesa sono visti purtroppo con avversione. Ulisse difende sempre entrambe, sostenendo la fatica di documentarsi e approfondire per meglio sostenere le sue idee e il suo credo. Nonostante queste frequenti discussioni, non perderà mai il rispetto e l’amicizia per le persone, insegnanti e colleghi universitari, che lo hanno avversato.
Di carattere è molto riservato, ma la sua serietà lo porta a essere ampiamente rispettato e benvoluto.

Lelia nasce a Potenza nel 1893. Anche suo padre è un ministeriale e anche la sua famiglia, i Cossidente, si trasferisce a Roma per il lavoro paterno. Finite le scuole superiori, lavora come insegnante in una scuola elementare, come cassiera in una banca e come bibliotecaria. A differenza del suo futuro marito è di carattere aperto, allegro e ottimista e si fa voler bene da tutti. È anche forte e resiliente e questo la aiuterà a superare le situazioni difficili che la vita le proporrà.

Secondo i costumi dell’epoca della borghesia romana, sono le famiglie a proporre ai due figli il fidanzamento. Lelia è titubante, ma quando apre il suo cuore a Ulisse ne rimane conquistata. È amore. Entrambi nutrono una fede profonda che li porta a desiderare di fondare in Cristo la loro unione. Dopo solo un anno di fidanzamento convolano a rapide nozze. Si sposano a Roma nel 1930, nella parrocchia di Santa Teresa d’Avila, retta dai Carmelitani. Questa rimarrà la loro parrocchia per tutta la vita e lì saranno sepolti dopo la morte. Ulisse diventa terziario carmelitano e Lelia entra nella confraternita del Santo Scapolare, una confraternita carmelitana. Sono benedetti da cinque figli, nati uno dopo l’altro a partire dal 1931. Uno diventerà sacerdote diocesano a Roma e uno padre carmelitano.
In casa però la vita non è facile: la famiglia convive coi genitori di Ulisse, la madre di Lelia e la sorella di Ulisse col marito e un figlio. Lelia e Ulisse cercano, con tatto e pazienza, di evitare rotture, di mantenere un equilibrio, seppur difficile, per non dover sacrificare la loro autonomia.
I tempi più duri, a parte quelli finali della vita segnati dalla malattia, furono però quelli della guerra. Ulisse, contrario al regime fascista, fu mobbizzato sul lavoro, addirittura fino alla sospensione senza stipendio.
Durante l’occupazione tedesca, Ulisse deve lasciare la famiglia e rifugiarsi nel Seminario Romano Maggiore, dove si guadagna da vivere facendo il bibliotecario e dove trova altri uomini nella sua stessa situazione, tra i quali i futuri protagonisti della vita politica nazionale De Gasperi, Nenni e Saragat. In quel periodo, Lelia si dedica da sola alla crescita dei figli, praticamente senza alcuna entrata economica. Non perde mai la speranza e la fiducia nella Provvidenza, tiene duro vendendo i “servizi belli” di famiglia e cucendo vestiti per i figli con le tende di casa.

Con l’arrivo degli americani la famiglia finalmente può riunirsi e Ulisse riprendere il suo lavoro al Ministero.
I coniugi hanno le idee chiare sull’educazione dei figli: mai mostrarsi divisi davanti a loro, eventuali divergenze si risolvono in privato. Inoltre è prioritario insegnare ai figli ad aprire il cuore all’amore di Dio, e a crescere in quest’amore, attraverso i gesti della vita quotidiana, nell’attenzione reciproca, nel perdono e nel servizio.
Gli Amendolagine, ogni volta che passano davanti a una chiesa, entrano a salutare Gesù Eucarestia presente nel tabernacolo. È una forza polarizzante grande che attira tutta la famiglia, figli compresi. Tutti traggono grande forza dall’Eucarestia.
Il dopoguerra è un periodo sereno. Purtroppo però questa serenità termina improvvisamente nel 1949, quando a Lelia viene diagnosticato un grave tumore che in soli due anni la porterà alla morte, a 58 anni.
Sono due anni di intensa sofferenza affrontati da Lelia con coraggio e sguardo soprannaturale.
Gli Amendolagine sono stati sposati “soltanto” 21 anni. Non è un periodo lungo per un matrimonio iniziato in età giovanile, ma ciò che conta, e loro storia lo dimostra ampliamente, non è tanto la durata in una relazione matrimoniale, ma la qualità della relazione d’amore che si instaura tra i coniugi.

Dopo la morte di Lelia, Ulisse le sopravviverà per 18 anni benché a un certo punto colpito da un’emiparesi. In questi anni, lui, devoto di Santa Teresina del Bambino Gesù, si dedicherà alla lettura e alla contemplazione degli scritti dell’altra grande Santa Teresa carmelitana, Santa Teresa d’Avila. Legge il “Castello interiore”, le “Fondazioni”, il “Cammino di perfezione” e ne ricava tanta pace e la forza di affrontare la vita senza la sua Lelia. Si spegne nel 1969, col conforto sacramentale fornitogli dai due figli sacerdoti.
Nel 2004 si è aperta la fase diocesana a Roma della causa di beatificazione degli Amendolagine con il contestuale conferimento del titolo di Servi di Dio. È stata avviata sulla base di uno scritto di don Andrea Santoro (sacerdote fidei donum della diocesi di Roma ucciso a Trebisonda in Turchia nel 2006) al Vicariato di Roma in cui si racconta di una grazia ricevuta nel 2002 da un giovane suo parrocchiano che, in fin di vita a causa di una gravissima malattia, ha chiesto con fede l’intercessione degli Amendolagine per poterla superare ed è stato dichiarato fuori pericolo dai medici la stessa mattina successiva.
Si dice che durante le Adorazioni Eucaristiche Ulisse spesso dicesse: “Gli uomini hanno alla loro portata il Signore dell’Universo (Cristo), ma non ne approfittano. Pensano ad altro, stanno immersi nelle loro miserie.”
Certamente il fatto che la coppia sia probabilmente intermediaria di una guarigione inspiegabile alla mente umana, fa di loro dei “veri” santi, ma i miracoli conducono a Cristo, alla sua Parola. I miracoli sono spesso risposta a un gesto disperato, ma che è comunque di affidamento, di fede. Ulisse non capisce come le persone immerse nella miseria umana non chiedano aiuto con insistenza, come Gesù stesso ha detto a noi di fare.
Lo stile che i coniugi Amendolagine ci hanno mostrato si basa su una confidenza rispettosa con Cristo, sull’essere in amicizia con Lui perché i gesti di ogni giorno, se fatti secondo la sua Parola, sono occasioni di incontro con il volto del Dio incarnato. La “chiave” che apre la porta del cammino della santità sembra essere per Lelia ed Ulisse alla portata di tutti, basterebbe solo scegliere di percorrerla con l’umiltà di chi chiede aiuto. Una santità tessuta nel quotidiano, è la normalità della semplicità quotidiana che apre allo straordinario, al miracolo. Basta saper chiedere, ascoltare e soprattutto lasciarsi stupire.



L’Associazione LA PIETRA SCARTATA da anni accompagna e supporta le famiglie nella vocazione a prendersi cura dei bambini abbandonati o temporaneamente allontanati dalla propria famiglia, conservando o restituendo loro la dignità di figli, mentre si rende testimonianza dell’Amore di Dio nell’accoglienza familiare affidataria o adottiva, secondo il carisma proprio del sacramento matrimoniale, vissuto nell’ambito fecondo delle relazioni coniugali.


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