La Chiesa li indica come servi di Dio: cioè essere servi inutili, donandosi fino alla fine, là dove ci è richiesto. Non importa se in contesti di guerra o di pace, di miseria o di serenità, nel sociale o in famiglia
Paolo Takashi nasce a Matsue, in Giappone, sulla costa settentrionale dell’isola di Honshu, nel 1908. È il primo di cinque figli. La sua è una famiglia di medici. Il padre in particolare conosce e pratica anche la medicina occidentale.
Cresce nella zona rurale di Mitoya, non lontano da Hiroshima, secondo gli insegnamenti tradizionali delle religioni tipiche del Giappone: lo scintoismo e il confucianesimo.
Studia alle scuole superiori assorbendo l’ateismo dei suoi insegnanti, che apprezzano la scienza occidentale e il materialismo. Sono infatti gli anni in cui in Giappone, dopo la riapertura verso l’Occidente, è iniziata la corsa verso la modernizzazione e il progresso. La cultura atea e positivistica promette nuovi orizzonti e molti giapponesi si allontanano dalle loro tradizioni millenarie. Il modello è l’Occidente, di cui si imitano però anche gli aspetti più deteriori come il militarismo e l’aggressività verso i Paesi vicini, che porteranno il Giappone prima alla costruzione del suo impero e poi alla disfatta della seconda guerra mondiale con la sconfitta subita dagli eserciti alleati.
Paolo e l’incontro con la fede. I cristiani nascosti
Paolo frequenta l’università a Nagasaki dove studia medicina.
Durante il periodo universitario intraprende un percorso spirituale che lo porta dallo scintoismo, attraverso l’ateismo, al cattolicesimo. È attratto dal messaggio cristiano e, per comprenderlo meglio, chiede di essere ospitato in una famiglia cristiana, che vive nel nord della città, nel quartiere cristiano di Urakami.
La famiglia ospitante è la famiglia Moriyama che fa parte del gruppo dei “cristiani nascosti” che vivevano nel quartiere. Questi, evangelizzati dai padri gesuiti nel corso del 1500 (con la presenza in missione, tra gli altri, del grande missionario gesuita San Francesco Saverio – 1506/1562), erano riusciti miracolosamente a mantenere la loro fede in anonimato e senza l’ausilio di sacerdoti per quasi tre secoli e mezzo, rischiando la morte giorno dopo giorno a causa delle persecuzioni messe in atto dai vari governi giapponesi succedutisi. Quando, alla fine dell’800, tornano i missionari cattolici in Giappone, i kakure kirishitan (cristiani nascosti) escono allo scoperto, non prima di assicurarsi che i missionari siano cattolici e non protestanti. Da questa storia deriva il loro nome di “cristiani nascosti” con cui sono conosciuti in tutto il mondo.
Marina Midori. Una famiglia profondamente cattolica
Nel silenzio, la famiglia Moriyama prega perché lo studente che ospita possa incontrare Cristo negli ammalati di cui si prende cura. È composta da papà, mamma e da una figlia unica, Marina Midori, che fa la maestra in una città vicina. Marina è coetanea di Paolo. I Moriyama nella loro comunità sono i “chokata” (i “responsabili del calendario”), titolo che viene tramandato di generazione in generazione. I “chokata” hanno come compito di ricordare il calendario liturgico, di celebrare i battesimi (non essendoci i preti), di leggere le letture e insegnare il catechismo. Marina cresce quindi in un’ambiente in cui si respirano la fede e il totale abbandono a Dio. Impara fin da piccola l’abitudine di pregare davanti al crocifisso.
Paolo e la specializzazione in radiologia
Una volta laureato in medicina, Paolo decide di specializzarsi in radiologia. È questa una scelta estremamente coraggiosa di chi sente di volersi sacrificare totalmente agli altri. In quegli anni, infatti, le misure di sicurezza nel lavoro dei radiologi sono ancora parecchio approssimative e pertanto quasi tutti i radiologi si ammalano di leucemia a causa dell’esposizione alle radiazioni nucleari. In questa scelta si coglie la grandezza d’animo di Paolo, che non ha paura di rischiare di ammalarsi per servire i suoi malati.
La partenza per la guerra
Il 24 dicembre 1932 Marina invita Paolo a partecipare alla messa di mezzanotte nella cattedrale di S. Maria a Nagasaki, una bella chiesa neogotica, costruita secondo i dettami architettonici dei missionari di fine 800. Paolo è colpito dalla quantità di gente che gremisce la chiesa, dai canti, dall’omelia, dalla fede delle persone. È per lui un punto di svolta, un’epifania. Pochi giorni dopo la Messa di Natale di cui si è parlato, un improvviso attacco di appendicite mette in pericolo la vita della ragazza e il padre chiama Paolo. Il giovane medico si carica la ragazza sulle spalle e di notte, mentre nevica, la porta in ospedale dove la operano l’urgenza, salvandole così la vita.
Il mese dopo, a gennaio, Paolo deve partire per la Cina, a causa della guerra della Manciuria.
Marina affida ogni giorno Paolo alla Vergine con la preghiera del rosario. Gli scrive spesso e gli manda una copia del catechismo.
Paolo intanto, al fronte, cura i malati e i feriti. La sua fiducia nella cultura giapponese viene via via sempre più compromessa quando constata le atrocità e la brutalità dei militari giapponesi nei confronti dei civili cinesi.
Al ritorno dall’esperienza cinese si nutre della lettura del catechismo cattolico, della Bibbia e dei “Pensieri” dello scienziato e filosofo francese Blaise Pascal.
Il battesimo di Paolo e il matrimonio con Marina
Finalmente, nel 1934, riceve il battesimo nella fede cattolica e lui stesso sceglie per sé il nome dell’Apostolo delle genti, Paolo. Paolo è consapevole che la sua scelta di farsi cristiano non faciliterà la sua carriera di medico radiologo, scienziato ricercatore e professore universitario, essendo in generale i cristiani malvisti.
Pochi mesi dopo sposa Marina che accetta di sposarlo nonostante sappia dell’altissima possibilità che Paolo si possa ammalare a causa delle continue esposizioni alle radiazioni a cui deve sottoporsi per il suo lavoro. Tanto è ammirevole la scelta di Paolo di abbracciare questa professione, così è ammirevole la scelta di Marina di sposarlo nonostante tutto. A fine ‘34, Paolo riceve la Cresima.
Da giovani sposi Marina e Paolo intraprendono insieme la loro vita cristiana con molti impegni: Marina è presidentessa delle donne del quartiere di Urakami, il quartiere cristiano di Nagasaki, Paolo è membro della locale sezione della Società di San Vincenzo e si dedica a visita i malati e i poveri, portando cure, conforto e beni alimentari. Legge gli scritti di Federico Ozanam, il fondatore della San Vincenzo.
Dalla vita in famiglia alla scoperta della leucemia
Nascono 4 bambini: un maschio e tre femmine. Purtroppo, due delle femmine moriranno molto piccole. Paolo è un buon marito e un padre affettuoso, ma il suo lavoro di ricerca e di insegnamento e la cura dei suoi pazienti lo portano a lasciare sola Marina nel gestire l’educazione dei figli e l’economia della famiglia, nel contesto della grave crisi economica che il Giappone sta attraversando.
Nel ‘37 scoppia di nuovo una guerra con la Cina. Paolo deve partire ancora. Resta lontano per tre anni, patendo i rigori dell’inverno cinese e le ingiustizie e le atrocità della guerra ma non smette di pensare alla giustizia e alla pace. Soccorre come medico sia i feriti giapponesi che cinesi, dopo averne comunque informato i superiori.
Nel ‘40 rientra a Nagasaki e riprende le sue ricerche mediche e l’insegnamento all’università.
Il 26 aprile del ‘45 un raid aereo alleato su Nagasaki provoca numerosi morti e feriti. Paolo è nel reparto di radiologia e si dedica giorno e notte alle cure dei feriti. Nel giugno successivo apprende quello che tutti i radiologi temevano. Ha la leucemia. Attesa di vita: due/tre anni. Ne parla con Marina e con Makoto, il figlio maggiore, che ha dieci anni. Decidono di vivere con fede questi drammatici momenti. E si abbandonano a Dio, certi della sua fedeltà.
La bomba atomica di Hiroshima e di Nagasaki
Il 6 agosto il Giappone apprende della bomba atomica americana sganciata su Hiroshima. Paolo e Marina allontanano da Nagasaki i loro bambini, accompagnati dalla nonna Maria. C’è forte timore che anche la loro città verrà colpita.
Il 9 agosto alle 11:02 ora locale, Nagasaki viene colpita dalla seconda atomica sganciata dagli americani. Urakami è l’epicentro dell’esplosione. Paolo si salva perché protetto dagli spessi muri in cemento armato del reparto di radiologia. I muri, costruiti per preservare quelli che stanno fuori, salvano quelli che stanno dentro. Paolo riporta una grave ferita, che però non gli impedisce di assistere i feriti e i malati.
Solo 2 giorni dopo, l’11 agosto, Paolo ritrova l’area su cui sorgeva la casa sua e di Marina. C’è solo cenere. Riconosce le ossa carbonizzate della sua sposa e, accanto ad esse, la coroncina del rosario di Marina.
Per altri due mesi continua a curare e a insegnare. Ma a settembre deve arrendersi. Gli mancano le forze e la morte gli sembra vicina. Vivrà invece ancora per 6 anni. A Urakami si fa costruire una piccola capanna. Vive in essa con i due figli salvati dall’atomica, la suocera e una coppia amica di famiglia. In questo piccolo rifugio simile a un eremo trascorre gli ultimi anni della sua vita in preghiera e contemplazione.
A novembre, viene celebrata una Messa davanti alle rovine della cattedrale, per le vittime della bomba. Paolo fa un discorso ricco di fede, paragonando le vittime a un’offerta consacrata per ottenere la pace.
Comincia anche a scrivere opere come “Atomic Illness and Atomic Medicine” e come “Le campane di Nagasaki”. Le sue opere vengono tradotte in parecchie lingue.
Nel luglio ‘46, si accascia presso la stazione dove stava prendendo faticosamente un treno. Vivrà allettato sino alla morte.
Nel ‘48 Paolo fa piantare 1000 ciliegi di tre anni nel quartiere di Urakami, per trasformare questa terra devastata in collina in fiore.
Anche se alcuni nel tempo sono stati sostituiti, questi alberi sono ancora chiamati “i ciliegi di Nagai” e i loro fiori allietano Urakami in primavera. Contribuisce anche in altri modi alla ricostruzione del quartiere: dona fondi per la chiesa, la scuola, l’ospedale e l’orfanotrofio. Sono i guadagni derivanti dalle royalties dei suoi scritti, che hanno moltissima diffusione in patria e all’estero.
Nel ‘49 è nominato cittadino onorario e riceve l’imperatore e un emissario del Papa. Centinaia di persone sono attirate ogni giorno nella sua capanna, una dimora accogliente nella desolazione di Nagasaki. L’amore di Dio diviene visibile in Paolo.
Muore il primo maggio del 1951. Per il suo funerale si ferma la città. Le campane delle chiese suonano. Suonano le sirene delle fabbriche e del porto. Sulla sua tomba la scritta, da lui voluta: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10). 20.000 persone assistono al suo funerale davanti alla cattedrale.
Attualmente la Diocesi di Nagasaki conta circa 61.000 cattolici battezzati su una popolazione totale di circa 1.340.000 abitanti. I cattolici sono dunque pari al 4,6% della popolazione. I preti sono 134, le suore 655.
La vita di Paolo con Marina sembra un romanzo, ambientato in un Paese lontano. Romanzo di cui forse è difficile capire le implicazioni culturali ed umane fino in fondo. C’è sicuramente qualcosa di straordinario nella serenità con cui Paolo, affascinato dal cristianesimo e poi convertitosi, ha scelto consapevolmente di dedicare la sua vita agli altri con un lavoro pericoloso. Non solo, Marina lo ha sostenuto in questa scelta senza porre limiti alla speranza, prova ne sono i 4 figli.
Marina e la sua famiglia sono per Paolo la porta per accedere a una fede solida che si innesta su valori umani e culturali già vivi in Paolo. Paolo sacrifica la sua vita per amore del prossimo, prendendo alla lettera l’insegnamento cristiano di non temere di donarsi perché solo così si riceverà la vera vita. Paolo è capace di perdonare anche negli orrori delle guerre che ha vissuto, ed è capace di ricominciare quando perde Marina e assiste all’abominevole sterminio dell’atomica.
Paolo è segno di speranza fino alla fine, infatti pianta dei ciliegi, simbolo della vita che rinasce a primavera con la loro straordinaria fioritura, laddove c’era solo morte.
Marina e Paolo sono stati attrattivi, hanno mostrato qualcosa di straordinario in un contesto dove le miserie umane hanno raggiunto l’apice.
Allora forse è per questo che la Chiesa li indica come servi di Dio: hanno vissuto in profondità la loro fede per quello che veniva loro chiesto da chi li circondava, stimolati dai bisogni concreti delle persone che avevano intorno, senza porre limiti, nella consapevolezza di essere servi inutili di Dio. Questo è il modello che ci viene mostrato e l’invito che ci viene fatto: essere servi inutili, donandosi fino alla fine, là dove ci è richiesto. Non importa se in contesti di guerra o di pace, di miseria o di serenità, nel sociale o in famiglia. Ciò che importa è concedersi completamente per il bene altrui e per il bene superiore che Dio ha in mente per ognuno di noi, per ognuno dei suoi figli. In quest’ottica non esiste sacrificio che non meriti di essere vissuto, non esiste una felicità personale che non parta dalla felicità di chi amiamo.
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