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Vivere l’umiltà della fede

La riflessione di don Maurizio Chiodi prende spunto dalle letture proposte dalla liturgia per la XXII domenica del tempo ordinario, dal Vangelo secondo Luca (Lc 14,1.7-14), dai brani tratti dal libro del Siràcide (Sir 3,19-21.30.31) e dalla lettera agli Ebrei (Eb 12,18-19.22-24a).


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Dobbiamo dirlo, con onestà, che oggi, in particolare, non è molto di moda parlare di umiltà, di mitezza.

Siamo tutti tentati di ‘narcisismo’, e cioè di mettere noi stessi al centro del nostro mondo, con le nostre pretese, i nostri diritti, i nostri ‘bisogni’, le nostre ‘esigenze’, prima di quelle altrui. Siamo tutti tentati, specialmente nel mondo del lavoro, di vivere con gli altri rapporti di competizione estrema, esasperata, secondo l’antico slogan: ‘mors tua, vita mea’!

E, invece, il Vangelo la Parola di Dio, oggi, ci parla di umiltà!

Non sono parole facili, tuttavia, perché è molto frequente dare dell’umiltà delle versioni caricaturali, che sono dei veri e propri tradimenti.

È famosa l’accusa di un grande filosofo morto agli inizi del Novecento, Nietzsche, il quale accusava noi cristiani di essere dei grandi bugiardi. Diceva: “dietro le vostre belle parole, tutte piene di umiltà, si nasconde in realtà la pretesa di primeggiare. Voi dite di voler essere gli ultimi, ma in realtà questo è il vostro modo per essere i primi. Vi nascondete, per apparire e guai se nessuno si accorge del vostro ‘nascondimento’. La vostra umiltà è soltanto una tattica per affermare voi stessi!”.

Non c’è dubbio che, molte volte, sia così.

Quante persone dicono di non volere nulla per sé e poi sono piene di rabbia e di invidia per quello che gli altri sono o fanno e per quello che gli altri possiedono!

Dunque, dobbiamo farci un esame di coscienza, tutti, davanti a queste autentiche trappole, nelle quali è così facile cadere.

Ma la domanda è un’altra: davvero il Vangelo ci dice di farci ultimi per essere – sotto sotto – primi?

Davvero dietro l’invito all’umiltà si nasconde sempre la voglia di primeggiare, l’invidia verso quelli che sono vincenti e primi in tutto?

L’episodio raccontato oggi nel Vangelo di Luca parte da un inizio curioso.

Gesù viene invitato a pranzo da un fariseo, certamente con un posto d’onore, e tutti stanno ad osservarlo. È al centro dell’attenzione di tutti. Forse per curiosità, forse per rivalità, forse per ostilità o altro ancora, gli altri lo osservano.

Gesù invece ribalta le cose, genialmente.

È Lui che osserva gli altri: «notando come sceglievano i primi posti».

Sembra un’osservazione perfino ingenua, ma è di una verità sconcertante. Non solo oggi, ma sempre, questa è la tentazione di noi uomini: scegliere «i primi posti». E allora facciamo le corse, allarghiamo i gomiti, facciamo le lotte, sparliamo degli altri per metterli in cattiva luce …

Gesù, in modo provocatorio, racconta una parabola: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te».

Queste prime parole sono molto sagge. Chi potrebbe negarlo? È evidente per tutti che facciamo una pessima figura quando occupiamo un posto troppo avanti per noi. Se c’è qualcuno più degno di noi, è giusto, ed è bene, lasciargli il posto. Magari lo invidiamo, ma capiamo che non potrebbe essere diversamente.

Ma le parole di Gesù ‘radicalizzano’ questa ‘sapienza’. «Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto».

Ecco, questo ci sembra proprio eccessivo: ma davvero devo scegliere per me l’ultimo posto? Sì, qualche posto più indietro, lo capisco. Ma perché l’ultimo, proprio l’ultimo?

Va bene non avere pretese. Ma non possiamo avere nemmeno delle attese? Dobbiamo mortificarci in modo così esagerato andando perfino contro la giustizia e la verità?

Qualcuno potrebbe notare, con una certa ironia, che in fondo le parole stesse di Gesù sembrano prestarsi ad un calcolo: mi metto all’ultimo posto, così colui che mi ha invitato possa venire a dirmi: «Amico, vieni più avanti!». Sarebbe dunque, anche qui, tutto e solo un calcolo. Mi metto all’ultimo posto, per poter andare più avanti, magari al primo!

Tutto diventerebbe un teatro, una recita, una messa in scena. Mi faccio ultimo, per avere più ‘onore’ di tutti!

È evidente che non possiamo prendere le parole di Gesù in senso letterale: se tutti volessimo l’ultimo posto, il peggiore, allora dovremmo litigare per avere non il primo, ma l’ultimo posto.

Tutto diventerebbe una finzione.

Tutto diventerebbe una forzatura: litigare per l’ultimo posto!

Allora dobbiamo cambiare prospettiva.

Dietro le parole di Gesù non c’è l’indicazione di quale posto occupare nella vita. In tutto questo c’è in gioco qualcosa di più profondo e di radicale.

Perché «occupare l’ultimo posto»?

Che cosa vuol dire Gesù con questa parabola?

In queste parole la cosa più importante è la relazione, non tra i posti, ma tra me che sono invitato e colui che mi ha invitato.

C’è una festa di nozze. È un invito gratuito. Non ho pagato per quel posto.

Siamo in molti, certo, ma l’essenziale è il rapporto con chi mi invita a nozze, in un momento di festa e di gioia.

Questo momento di gratuità può diventare una gara delle vanità. Il rischio è che noi dimentichiamo che, nei rapporti umani, c’è in gioco il rapporto con questo signore (Signore!) che ci invita a nozze, al banchetto della vita!

Così Gesù stesso si rivolge a colui che l’ha invitato a pranzo. Lo invita ad abbandonare i calcoli di un meschino interesse, i calcoli del mercenario.

«Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio».

Ecco qui il rischio che Gesù ci mette davanti agli occhi: una vita ‘schiava’ della logica del mercenario. Ti do perché tu mi dia. Tutto si riduce ad un calcolo meschino per interesse egoistico.

Non che nella vita non dobbiamo fare i calcoli o non cercare il nostro (e l’altrui) interesse.

La vera domanda è: ma che cos’è l’interesse? Che cosa ci deve interessare di più?

La vita è una lotta in cui l’altro è il lupo da cui ci si deve guardare oppure è un incontro di bene, in cui, certo, ci sono i lupi e i meschini, ma più radicalmente c’è la promessa e la grazia di un Dio che è fonte di ogni bene e dono?

Gesù dice, concludendo: «quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti».

Ma davvero siamo beati quando qualcuno non ha da ricambiarci?

Come è possibile?

Gesù dice che la beatitudine sta nella ‘ricompensa’ di Colui che è grazia, Lui.

All’origine delle nostre scelte, delle nostre relazioni, Gesù ci chiede di mettere la grazia: la grazia di colui che ci ha invitato a nozze.

Ci chiede di ‘gustare’ le cose belle che ciascuno di noi ha ricevuto.

Ci chiede di imparare ad apprezzare i nostri doni e ad essere continuamente grati.

Saremo felici di questo!

Se invece guardiamo l’altro sempre come al concorrente che è lì, pronto a divorare i nostri beni, allora vivremo nella paura, nell’incertezza, nel fastidio.

Se avremo poco, moriremo di invidia per quel che non abbiamo.

Se avremo molto, vivremo nella paura che gli altri ci portino via quel che possediamo.

In un caso o nell’altro vivremo male, non felici.

Se invece viviamo l’umiltà della fede – perché questo è l’umiltà: la fede! un altro nome della fede! – allora all’origine della nostra vita e dei nostri rapporti scopriremo, con gusto e con gioia, la grazia!

Allora vivremo con gratitudine.

Non avremo più l’ossessione per il ‘posto’ da occupare, sia esso l’ultimo o il primo. Troveremo la buona relazione con l’altro, perché anch’egli, tutto quel che ha, l’ha ricevuto.

Insomma, dalla fede scaturisce una sapienza profonda, una luce che illumina i nostri passi sulle strade della carità!

don Maurizio



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