La Corte di Cassazione indica l’adottabilità come soluzione estrema: una decisone che lascia più di un dubbio

Il problema della durata eccessiva dell’istituto dell’affido familiare rimane grave e qui è aggravato dalla richiesta di indagini approfondite sino all’estremo, che comportano tempi lunghi, resi ulteriormente prolungati dai vari gradi di giudizio

È molto forte la posizione espressa dalla Corte di Cassazione relativamente al caso di valutazione della idoneità genitoriale della madre e del padre di una bambina, deceduta perché caduta da una finestra, con riferimento al fratellino.

Partendo da questo caso i giudici di legittimità chiariscono a sorpresa come l’abbandono definitivo e l’adottabilità possano in generale dichiararsi, anche in casi di attuale inadeguatezza dei genitori, solo dopo l’accertamento dell’irreversibile non recuperabilità della capacità genitoriale” tramite indagini peritali aggiornate estese a tutti i familiari potenzialmente idonei a supportare i genitori nel loro ruolo con l’aiuto dei servizi.

Ecco la massima della sentenza della Cassazione n.24717 del 14 settembre 2021

La dichiarazione di adottabilità del minore costituisce una “extrema ratio” che si fonda sull’accertamento dell’irreversibile non recuperabilità della capacità genitoriale, da compiersi tenendo conto che il legislatore, all’art. 1 l. n. 184 del 1983, ha stabilito il prioritario diritto del minore di rimanere nel nucleo familiare anche allargato di origine, quale tessuto connettivo della sua identità. La natura non assoluta, ma bilanciabile, di tale diritto impone un esame approfondito, completo e attuale delle condizioni di criticità dei genitori e dei familiari entro il quarto grado disponibili a prendersi cura del minore e delle loro capacità di recupero e cambiamento, ove sostenute da interventi di supporto adeguati anche al contesto socioculturale di riferimento.

Si tratta di una sentenza che ha cassato con rinvio una decisione della Corte d’Appello di Bologna che aveva confermato la pronuncia di primo grado e dichiarato l’adottabilità del minor H.M.

La Cassazione, dunque, ha ritenuto che la valutazione sulla capacità genitoriale, e sull’eventuale possibilità che il minore venisse affidato all’altro genitore o a parenti, era stata carente. Anche gli interventi di supporto alla genitorialità non sarebbero stati sufficientemente attuati.

Senza voler entrare nel merito dei fatti si espone per mera necessità che l’altra figlia della coppia era deceduta per defenestrazione (l’azione penale nei confronti della mamma era stata archiviata) e il lutto non sarebbe stato valutato nel suo impatto sulla coppia.

Il minore H.M. era stato inizialmente posto insieme alla madre in una comunità protetta per altri episodi di inadeguatezza della mamma e successivamente, collocato da solo, in ambito protetto e poi in affido familiare ove risiede da tre anni con pareri favorevoli.

Cassazione: l’adozione come extrema ratio

La Corte di Cassazione, rifacendosi all’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità che afferma la necessità di una valutazione attuale, dell’effettività degli interventi di supporto alla genitorialità (si fa riferimento alle decisioni della Corte Europea dei diritti dell’Uomo e in particolare al Caso S.H. contro Italia, sentenza 13/10/2015 e al Caso Ajinnibosun c. Italia, sentenza del 16/6/2015) e in nome del principio dell’adozione come extrema ratio, ha ribadito come, essendo il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia d’origine, quale ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, tutelato in via prioritaria dalla L. n. 184 del 1983, art. 1, il giudice di merito, in tema di accertamento dello stato di adottabilità, deve operare un giudizio prognostico teso, in primo luogo, a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, senza però che esse assumano valenza discriminatoria, sia a quelle psichiche, da valutarsi, se del caso, mediante specifica indagine peritale, estendendo detta verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali.

Circa l’ulteriore valutazione della mancanza di assistenza morale ex art. 8 L. 184/83, essa deve essere fondata, a detta della Corte, su una valutazione quanto più prossima alla decisione e, se confermativa di un accertamento meno recente, deve fondarsi sul rilievo di tutti i fattori concomitanti a determinare la condizione genitoriale esaminata.

Quindi secondo la Suprema Corte di Cassazione:

 “il giudizio che conduce alla dichiarazione di adottabilità, in conclusione, deve conseguire ad un’indagine rigorosa ed attuale dei genitori e dei familiari disponibili entro il grado previsto dalla legge, ponendo al centro dell’esame la relazione con il minore nel suo sviluppo diacronico, tenuto conto che il legislatore nella L. n. 184 del 1983, art. 1 ha stabilito in via predeterminata il prioritario diritto del minore stesso di rimanere nel nucleo familiare anche allargato di origine, in quanto tessuto connettivo della sua identità. La natura non assoluta ma bilanciabile di tale diritto impone, tuttavia, un esame approfondito delle condizioni di criticità dei genitori e delle altre figure ex lege coinvolte perché disponibili all’affido e delle loro capacità di recupero e cambiamento, ove sostenute da interventi di supporto adeguati anche al contesto socioculturale di riferimento. Come più volte sottolineato dalla giurisprudenza di questa Corte, la dichiarazione di adottabilità che consegue all’abbandono è una extrema ratio che deve fondarsi sull’accertamento dell’irreversibile non recuperabilità della capacità genitoriale. Per giungere a questa conclusione ed integrare il paradigma coordinato della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8 non possono svolgersi valutazioni inattuali o gravemente incomplete sia perché non fondate su tutti gli elementi di valutazione disponibili, sia perché non conseguente ad indagini tecniche appropriate ai singoli casi, come accaduto nel caso di specie con riferimento a tutte le parti ricorrenti”.

Sicuramente quanto deciso e motivato dalla sentenza, giustificato da altrettanti precedenti giudiziari, trova fondamento nel principio di preservare i legami di sangue, ma ci si domanda fino a che punto si può “sospendere” una decisione definitiva, lasciando il minore in un ambiente comunitario o familiare validissimo, ma solo temporaneo che potrebbe essere successivamente modificato.

Il minore, in un periodo cruciale della propria esistenza si trova privo di continuità affettiva perché potrebbe, dopo anni vissuti in una famiglia affidataria dover rientrare in un ambiente familiare ormai sconosciuto.

Il problema della durata eccessiva dell’istituto dell’affido familiare rimane grave e qui è aggravato dalla richiesta di indagini approfondite sino all’estremo, che comportano tempi lunghi, resi ulteriormente lunghi dai vari gradi di giudizio.

Non si tratta di mettere in discussione i principi dell’ordinamento giudiziario italiano, ma di contemperare i principi della difesa, del contraddittorio, ecc con il principio della tutela del minore, cosa che in nome di approfondimenti eccessivi, viene limitata.

L’adozione è e deve restare dunque l’extrema ratio in materia di protezione del minore abbandonato e deve essere rapportata a verifiche ed indagini validi, ma da realizzarsi in termini di tempo non eccessivi e tali da non rendere del tutto inutile, se non lesiva per il minore, la decisione qualunque essa possa essere.

Ufficio Diritti Ai.Bi.