Dopo il lockdown esplodono i casi di anoressia e bulimia. Sui giovani non bisogna abbassare la guardia

L’importante è non arrivare tardi alla diagnosi. La situazione generale non aiuta a ridurre l’ansia

Allarme anoressia e bulimia dopo il lockdown. Dalla serrata generale del paese, causata dall’emergenza sanitaria da Coronavirus, sono infatti aumentati del 30% i pazienti con disturbi del comportamento alimentare. Il lockdown e lo stress difuso per la paura della pandemia hanno infatti e purtroppo fatto da detonatori per chi, già di base, presentava una fragilità psicologica esplicitata anche in un rapporto difficile con il cibo. A rivelare questi dati è un articolo recentemente pubblicato dal quotidiano Il Messaggero. “Il virus – si legge nell’articolo – in questo caso non ha infettato ma ha lasciato e lascia i segni della sua presenza. O, meglio, del timore generalizzato. Insieme ai cambiamenti delle abitudini quotidiane e all’obbligo di proteggersi sempre”.

Lockdown, anoressia e bulimia. Un legame da tenere d’occhio

Già a maggio l’ISS – Istituto Superiore di Sanità, parlava di “rischio di ricadute” per chi aveva in passato sofferto di problemi come anoressia o bulimia o di “peggioramento” per chi già si trovava a viverli. E, oggi, l’Istituto conferma: “L’isolamento prolungato ha limitato la possibilità di praticare attività fisica e aumentato il timore di prendere peso, portando a ulteriori restrizioni dietetiche. Le scorte alimentari in casa hanno facilitato le abbuffate alimentando una serie di meccanismi legati al peso come l’uso di diuretici e lassativi o vomito indotto“. E, purtroppo, come spiega la psichiatra Marta Agosti, direttrice del centro di Villa Miralago, centro situato in provincia di Varese, anche ora che la vita sociale è tornata a una condizione di semi-normalità “è difficile tornare indietro se la malattia si è palesata”. “L’aumento dei casi – conferma la dottoressa – c’è. Si trattava, con ogni probabilità, di situazioni sottosoglia che la pandemia ha fatto emergere”.

Lockdown, anoressia e bulimia. L’importante è una diagnosi che arrivi in tempo

Adesso, spiega l’articolo de Il Messaggero, l’importante è che, soprattutto con i giovani “non si arrivi tardi, come avviene nella maggioranza dei casi, alla diagnosi“. Perché, come aggiunge la psichiatra “i giovani, è vero, non accettano di sentirsi malati e curati ma in qualche modo la mano va tesa perché si fermino prima possibile. Ora la situazione generale non aiuta alla distensione e genera ansia”. Perciò “è necessario fare attenzione all’eccesso di isolamento del ragazzo o della ragazza”, “al rapporto che ha con la propria immagine”, “al nascondersi per mangiare o buttare cibo“. “Gli adulti – conclude la dottoressa – devono fare lo sforzo di parlarne e non far mai finta di niente”.

Per approfondire l’argomento, è possibile contattare il CEFAM – Centro Europeo Formazione Accoglienza Minori per un incontro gratuito telefonando allo 3400088431 o scrivendo una mail a cefam@coopaibc.it.