Per essere educatore ci vuole qualche cosa di più. Preparazione certo, ma soprattutto cuore, passione e talento

Intervista ad Alessandro Grimaudo, operatore della casa di accoglienza ‘Pinocchio’: “Uno può anche avere il titolo di studio perfetto ma se caratterialmente non sei portato non riesci a farlo questo lavoro”.

Essere educatore non è un semplice lavoro. Non si tratta di fare turni e prendere a fine mese uno stipendio. Non è la meta obbligata di un corso teorico di studi. Per essere educatore ci vuole qualche cosa di più. Ci vuole preparazione certo, ci vuole carattere è vero, ma soprattutto ci vuole cuore, passione e talento.

E gli educatori di Casa Pinocchio, casa di accoglienza per minori della cooperativa AIBC, di passione e talento ne hanno da vendere e lo mettono ogni giorno a disposizione dei ragazzi perché imparino, dal loro esempio, a trovare stimoli, idee, passioni che permettano loro di divenire adulti nel vero senso del termine.

L’esempio di un educatore “di talento”

Alessandro Grimaudo è uno di questi educatori. Solare, energetico, allegro, ha deciso di mettere a disposizione se stesso per i minori ospiti di Casa Pinocchio: italiani con difficoltà familiari e stranieri giunti soli nel nostro Paese, cercando di ricostruire per loro un ambiente familiare sereno.

Alessandro è l’esempio di come, per divenire educatori di “valore”, il percorso di studi sia importante ma lo sia ancora di più la propria predisposizione e le peculiarità personali.  35 anni “ma vado per i 36 –racconta, il suo è un percorso di vita che l’ha portato a toccare diversi campi professionali e ad acquisire molte esperienze  eterogenee – sono laureato in architettura di interni e per alcuni anni ho lavorato in quel settore – spiega –  poi mi sono laureato in scienze motorie e ho lavorato nelle scuole, successivamente ho fatto il commerciale”.

L’incontro con AIBC

A novembre dello scorso anno l’incontro, quasi per caso, come spesso accade con i fatti importanti della vita, con AIBC:

“Casualmente ho trovato un annuncio per Casa Pinocchio e mi sono detto ‘perché no?’… – sottolinea Alessandro – Ho fatto i colloqui, mi hanno chiamato e così a novembre dello scorso anno ho iniziato questa avventura!”.

Un’esperienza che va ben oltre la semplice attività professionale, chiarisce Alessandro:

Non lo vivo come un lavoro. Quando sono con loro io ‘vado a vivere lì’, sono me stesso e cerco di essere coinvolgente con i ragazzi – continua – lavoriamo 8/9 ore e capita anche di fare turni dormendo lì”.

Poco prima del lockdown causato dal coronavirus, Alessandro è dovuto rimanere forzatamente in casa 14 giorni: “vivo con mia mamma – racconta – lei aveva la febbre e per linea guida della cooperativa, lavorando con i minori, sono dovuto rimanere a casa”. Proprio in quei giorni è nata l’idea di inventare un quiz su instagram dal titolo “Che cosa ho detto” gioco molto divertente che ha coinvolto ed unito i minori della casa famiglia dentro e anche fuori le mura dell’abitazione:

“Che cosa ho detto?”

Che cosa ho detto è un gioco che aveva inventato mio fratello quando eravamo piccolini e ci giocavamo di notte – spiega l’educatore –dicevamo delle parole sostituendo a tutte le consonanti la T. Ho ripreso questo gioco dopo tanto tempo per scherzo con un mio amico. Abbiamo fatto una puntata in diretta su instagram, l’ho chiamato e c’era anche chi ci rispondeva da casa – racconta – così ho iniziato con gli amici a farlo ogni sera e visto che piaceva, ho deciso di contattare in diretta anche personaggi noti invitandoli a partecipare”.

Un gioco che ha coinvolto e divertito anche i ragazzi della comunità: “ ho iniziato a farlo con i ragazzi la sera, – sottolinea Alessandro -quando facevo la notte, giocavamo tutti insieme”.

Un quiz che è nato così per scherzo, ma che è piaciuto talmente tanto che Alessandro ha realizzato anche puntate live in alcuni locali, invitando i ragazzi di Casa Pinocchio a partecipare. Un modo per coinvolgere i minori in casa e fuori, tenendoli insieme e perché no “distraendoli dal telefono soprattutto quando eravamo chiusi in casa e non si poteva uscire” racconta.

Con l’esempio reale e concreto di Alessandro e senza troppi giri di parole, ecco svelato il significato di cosa voglia dire, avere passione, talento e cuore e di come sia importante per un educatore possedere questa profonda ricchezza interiore da donare ai giovanimettendo a frutto i propri talenti personali.

Per essere educatore, il titolo di studio “perfetto” non basta

“Uno può anche avere il titolo di studio perfetto – spiega l’educatore- ma se caratterialmente non sei portato non riesci a farlo questo lavoro. Ci deve essere chimica con i ragazzi, devi entrare in rapporto con loro. Se fai il controllore o ti chiudi in ufficio aspettando la fine del turno, non è il massimo – continua – i ragazzi non lo dicono o magari a volte si… ma per loro la presenza è importante. Scherzare, creare il dialogo e anche riprenderli quando serve. In questo lavoro la predisposizione è fondamentale come il comportamento di ogni educatore per stimolarli e guidarli. Io sono stato preso per i 10 anni che ho insegnato ai ragazzi il calcio e per le mie passioni”.

 Le cose che mi piace fare cerco di portarle ai minori di Casa Pinocchio, perché c’è sempre qualcuno che può prendere spunto, come dal programma che ho creato dal nulla… sono tutti stimoli da cui loro possono attingere”.

Una cosa è certa, oggi Alessandro e i ragazzi di Casa Pinocchio hanno un nuovo linguaggio attraverso il quale si divertono a comunicare tra di loro, quello inventato dal giovane educatore grazie al suo programma, un modo per creare empatia e per sorridere insieme.

Alessandro con la sua passione ha dimostrato ai ragazzi che con semplicità e un po’ di creatività tutto è possibile e i giovani oggi hanno bisogno di buoni esempi, di modelli da poter imitare, di un adulto da prendere come guida per crescere ed aprirsi verso il futuro.

Maria Cristina Sabatini