Adozione mite: mito della “legge del sangue”:1. “Diritto di essere figlio”:0

Rimanere nell’incertezza e nel limbo anche giuridico tra due famiglie, di cui una comunque non idonea a l’altra idonea ma non pienamente famiglia, significa condannare i minori a non avere quel clima necessario alla loro crescita ottimale

Il 2021 si è concluso con una posizione sorprendente della Corte di Cassazione in merito all’adozione mite: si tratta di una misura alternativa alla famiglia di origine che non è prevista formalmente dalla legge, ma che già da diversi anni è in uso presso alcuni tribunali e che consiste nell’applicare al bambino con genitori non pienamente idonei l’art.44 della legge 184/1983 sull’adozione cosiddetta “speciale” e confinando l’adozione legittimante a un ruolo marginale. In altre parole, vengono riconosciuti al bambino nuovi genitori adottivi che si impegnano ad averne cura, in aggiunta alla famiglia biologica da cui il bambino non viene così giuridicamente separato e mantenendo un progetto di “visita” o comunque frequentazione della famiglia di origine.

Adozione mite: i bambini nel “limbo”

Queste adozioni, che rispondono probabilmente alla presa d’atto che esistano casi in cui sia estremamente difficile stabilire se corrisponda o meno all’interesse del figlio minorenne mantenere i rapporti con la famiglia di origine, o che esista comunque un forte affetto tra i membri di una famiglia in cui sia accertata una inidoneità genitoriale (ovvio!), hanno per molti esperti il difetto di mantenere i bambini in grave difficoltà familiare in un “limbo” perenne e definitivo tra due famiglie.

Semi-abbandono

Tecnicamente si è definito un nuovo concetto che per la legge, tuttavia, finora non è esistito: il “semi-abbandono”. In effetti solo l’abbandono definitivo è una situazione prevista espressamente nella legge sulle adozioni e va dichiarato dal tribunale per i minorenni in situazioni caratterizzate da inidoneità non transitoria dei genitori di prendersi cura moralmente e materialmente del proprio figlio. 

Nei casi in cui definire l’abbandono è risultato più complicato, sia per l’aspetto della temporaneità sia per la valutazione delle particolarità del caso specifico, operatori socio-sanitari e giudici hanno di fatto realizzato collocamenti in adozione senza ricorrere all’adozione piena e quindi senza recidere i legami con la famiglia di origine.

La sentenza della Cassazione

Già la Cassazione 35840 del 22 novembre 2021 si era già espressa per il “riconoscimento della figura dell’adozione mite” accogliendo il ricorso di due genitori che chiedevano la riforma parziale della sentenza con cui era stata applicata l’adozione mite dichiarando l’interesse del bambino di mantenere i contatti con i fratelli ma non con i genitori, affetti da disturbi psichici. In quel caso la sentenza, che già aveva in qualche modo sancito il diritto del bambino adottato a non recidere i legami con la famiglia d’origine, è stata trasmessa nuovamente alla Corte d’appello perché si era omesso di valutare l’interesse del bambino, pur adottabile, di mantenere anche un contatto con i genitori, oltre che con i fratelli. In quel caso, invero, la sentenza era stata dichiarata illegittima anche perché i giudici dell’appello avevano omesso di ascoltare il bambino di età compatibile con quella prevista dalla legge per sentire direttamente l’interessato (dai 12 anni).

Proseguendo in questo percorso, la sentenza n.35840 del 15 dicembre 2021 ha accolto il ricorso di una madre la cui figlia di pochi mesi, prima in affidamento consensuale, era stata dichiarata adottabile, ufficializzando l’esistenza nel nostro ordinamento di una “pluralità di modelli di adozione“.

 Secondo la Corte di Cassazione i giudici devono valutare, di volta in volta, in base alle particolarità del caso specifico, se sia preferibile ricorrere ad un modello di adozione che non recida del tutto i rapporti tra il bambino abbandonato e la famiglia di origine e in quel caso dichiarare l’adozione speciale senza dichiarazione di abbandono. Si torna a parlare espressamente di “semiabbandono”, come di condizione in cui è accertata una idoneità non piena dei genitori biologici ma senza tuttavia escludere l’opportunità della loro presenza nella vita del minore adottato.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo

È certamente noto e condivisibile che giudici e operatori siano anche preoccupati dalle posizioni della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, che ha sanzionato più volte i Governi, compreso quello italiano, evidenziando la loro responsabilità nonché l’obbligo di intervenire attivamente per consentire lo sviluppo e il mantenimento dei legami di ogni figlio con i propri genitori biologici (così ad es. Corte EDU, 12.02.2019, Minervino e Trausi c/Italia; Corte EDU, 13.10. 2015, S. H. c/Italia; Corte EDU, 21.01.2014, Zhou c/Italia). 

Lascia tuttavia perplessi il riferimento della Cassazione a criteri come l'”affetto” e l'”interesse” mostrato dai genitori biologici verso i loro figli, quale criterio di cui tenere conto nella valutazione dell’interesse del minore a conservare il legame con la famiglia di origine. Se è vero, infatti, che norme che oggi hanno rango costituzionale – come l’art.24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – prevedono l’obbligo di ogni persona fisica e giuridica e di ogni istituzione di porre al centro delle decisioni che coinvolgono minorenni l’interesse dei minorenni stessi, è palese come l’attenzione al punto di vista dei genitori biologici appaia una marcia indietro se non perfino una violazione di quel principio fondamentale (“best interest of the child“).

Il fatto stesso poi di tentare una quantificazione del “deficit” che i genitori biologici possano avere nell’espletare le proprie funzioni genitoriali una volta che sia comunque deciso di sottrarre entrambi in via definitiva all’esercizio del ruolo genitoriale appare un percorso fuorviante per i bambini dal momento che l’adottabilità e l’adozione piena, rispettivamente quali presupposto e rimedio per garantire la loro cura quando la famiglia d’origine non è pienamente idonea, non sono e non sono mai state sanzioni per la famiglia biologica ma una scelta del legislatore che corrisponde alla necessità di fornire ai bambini e ragazzi un clima stabile di felicità amore e comprensione che consenta loro di raggiungere il miglior sviluppo psico-fisico che la natura ha previsto per ciascuno. Rimanere nell’incertezza e nel limbo anche giuridico tra due famiglie, di cui una comunque non idonea e l’altra idonea ma non pienamente famiglia, significa condannarli a non avere quel clima necessario alla loro crescita ottimale.

Non è condivisibile l’introduzione di un modello di adozione alternativo dopo che sia ormai accertata l’inidoneità della famiglia biologica

Si può pure, dunque, concordare con la Corte di Cassazione sul fatto che l’adozione legittimante costituisca un rimedio estremo, nel senso che occorre prevenire l’abbandono e supportare i nuclei familiari in difficoltà, ma non appare condivisibile l’introduzione di un modello di adozione alternativo dopo che sia ormai accertata l’inidoneità della famiglia biologica. Viceversa, si rischia di indicare agli operatori come preponderante un tipo di adozione, quella speciale ex art.44, che invece il legislatore ha ritenuto, e tuttora oggi delinea, come eccezionale e residuale. Per questa via l’adozione piena e legittimante rischia di essere relegata ad “eccezione”, quando invece la storica riforma del 1984 poi del 2001 l’avevano prevista come regola, proprio perché la recisione dei rapporti con la famiglia d’origine non pienamente idonea, è funzionale alla stabilità e certezza di cui a lungo termine i bambini non possono fare a meno, se non al costo di sacrificare il loro posto di protagonisti della vita familiare.

 Ufficio Diritti Ai.Bi.