Corte costituzionale: superata l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività dell’attività dell’affido

Il futuro della accoglienza affidataria è rappresentato dalla collaborazione tra pubblico e privato sociale, ma serve assolutamente sburocratizzare il sistema, rinunciando al richiamo della complicazione.

L’istituto dell’affido familiare, oggi, vede affiancare all’essenziale intervento delle istituzioni pubbliche, il prezioso contributo del terzo settore.

Il professor Angelo Mari, dell’Università LUMSA, Su Federalismi.it, in un interessante articolo, approfondisce proprio questa doppia linea di intervento dal punto di vista giuridico amministrativo.

Dall’analisi del professor Mari, emerge come in materia di affido familiare esista “un’obbligazione pubblica di aiuto, (delle famiglie disagiate e dei minori che necessitano di temporaneo sostegno) sancita a partire dalla Costituzione, da organizzare insieme con le reti sociali ed allo stesso tempo come sia presente una “iper regolazione, contenuta in piani, linee guida, regolamenti, emanati da Stato, regioni e comuni, che rischia di burocratizzare il sistema e rendere inappropriate le decisioni assunte dai servizi sociali territoriali e dall’autorità giudiziaria”.

In particolare, il professor Mari, al paragrafo 6.1, parlando dei rapporti tra organismi pubblici e privato sociale, evidenzia come:

I servizi sociali siano proprio caratterizzati dalla “integrazione di interventi pubblici e iniziativa privata in tutte le sue forme e finalità” e come ciò costituisca: “un punto di forza del sistema”.

Due sono in particolare le attività che le organizzazioni del “privato sociale” pongono in essere: quelle di impulso e monitoraggio e quelle di pianificazione e gestione dei servizi.

Tra le attività di impulso e monitoraggio, il professor Mari, evidenzia ad esempio le iniziative portate avanti dal Gruppo CRC (Convention on the Rights of the Child), come stimolo alle istituzioni per l’implementazione della Convenzione. Il Tavolo nazionale Affido, tra le cui attività vi sono anche quelle di valorizzare buone prassi e sviluppare riflessioni condivise a livello nazionale. Le reti familiari, che offrono il proprio aiuto “alle famiglie di origine e affidatarie in una sorta di mutuo auto aiuto, all’insegna della solidarietà”.

In merito invece alla programmazione e progettazione degli interventi, l’autore sottolinea come il coinvolgimento del privato sociale sia “riconosciuto e disciplinato” espressamente dalla riforma del Terzo settore.

La Corte costituzionale – scrive Mari- ha  recentemente sottolineato  che,  letti  alla  luce  del  principio  di  sussidiarietà  orizzontale,  con  i  ricordati  strumenti programmatici si è voluto superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e si è riconosciuto che tali attività ben possano, invece, essere perseguite anche da un’autonoma iniziativa dei cittadini che, in linea di continuità con quelle espressioni  della  società  solidale,  risulta  ancora  oggi  fortemente  radicata  nel  tessuto  comunitario  del nostro Paese”.

Ma come vengono coinvolti i soggetti privati nelle “decisioni programmatiche”?

Il professor Mari pone l’accento sulle “Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore” pubblicate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che disciplinano in primo luogo “il procedimento di coprogrammazione e di coprogettazione”. Linee guida che l’autore definisce “particolarmente dettagliate”.

In conclusione, il professor Mari sottolinea come:

a  fronte  di  una  decisiva  apertura  della  giurisprudenza  costituzionale  verso  l’”amministrazione condivisa”, le amministrazioni, a cominciare da quelle centrali, non sanno resistere al richiamo della complicazione che è insita nell’idea di voler regolare troppo andando oltre l’essenziale; e ciò avviene con il  concorso  del  privato  sociale,  che  probabilmente vuole “garanzie” sia per il corretto svolgimento dei rapporti con il pubblico sia per le corrette relazioni tra “pari” nella competizione per ottenere i contratti e le convenzioni”.

Questa molteplicità di strumenti amministrativi – evidenzia il professore più avanti nel testo (pag 143) – rischia di burocratizzare il sistema con notevoli effetti negativi per la salvaguardia dei diritti dei minori e delle famiglie. In effetti, un sistema iper burocratico rischia di far prevalere la logica dell’adempimento, ossia di portare avanti le attività, soprattutto da parte dei servizi sociali territoriali, non mettendo al centro la  persona” –e ancora- L’eccesso di regole – evidenzia Mari, (pag. 144) – provoca inevitabilmente disagio alle coppie o alle persone che accolgono, per cui si rischia di non rendere disponibili tutte quelle adeguate buone potenzialità di cui ci sarebbe bisogno”.

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