Jonathan Galindo. “Mamma, papà vi amo ma devo seguire l’uomo col cappuccio… non ho più tempo”. Poi il lancio nel vuoto

Perché un bambino di 11 anni non ha tempo? Dove deve andare e da chi sta scappando? Se le sfide online diventano un “rito di iniziazione”

La morte del bambino di 11 anni di Napoli, suicidatosi dopo aver lasciato uno strano messaggio (“Mamma, papà vi amo ma devo seguire l’uomo col cappuccio… non ho più tempo“), forse a causa di un’assurda sfida nata sui social network (si punta il dito su Jonathan Galindo, inquietante personaggio fittizio che adescherebbe i minori su internet spingendoli ad azioni estreme), ha sconvolto i genitori italiani. La possibilità che il proprio figlio possa essere indotto a compiere azioni orribili attraverso la rete, soprattutto quando molti bambini e adolescenti hanno sviluppato verso la stessa una sorta di dipendenza anche a causa del lockdown della primavera del 2020, è sconvolgente.

Ne ha parlato, intervistato dal quotidiano Il Mattino, Giuseppe Riva è docente di Psicologia della comunicazione all’Università Cattolica di Milano e presidente dell’Associazione internazionle di cyberpsicologia, tra le altre cose autore di diversi libri sui rischi legati al mondo dei social. “Le sfide online – spiega Riva – sono in aumento: quasi tutte le settimane se ne diffondono di nuove“. Alcuni esempi? “Farsi gettare addosso un secchio di acqua ghiacciata durante l’estate, riprendere l’azione e pubblicarla on line. Diversi balletti, salti o anche bere un litro d’acqua senza staccare la bocca dalla bottiglia. E, spesso, il gioco consiste nel nominare qualcuno che deve continuare”.

Jonathan Galindo. L'”uomo col cappuccio” e quelle sfide online che diventano riti di iniziazione

Gli adolescenti e i giovani accettano perché questo rappresente “un rito di iniziazione, di passaggio, per capire fin dove è possibile spingersi”. Il problema nasce laddove, “accanto ad attività prettamente ludiche, è possibile indurre a una serie di coercizioni”. Una situazione che inizia “quando c’è qualcuno che chiede di fare cose non così gravi o pericolose. E, se il ragazzino accetta, lo spinge a proseguire, dicendo che altrimenti è pronto a rivelare tutto, scatenando un senso di impotenza che può spingere a compiere gesti estremi per uscire dal gioco. Spesso i contatti online restano un mondo privato, che il genitore nemmeno conosce”.

Questo accade anche perché lo smartphone, “ormai viene regalato alla prima comunione, che si fa a 8-9 anni, pur se sarebbe meglio aspettare le scuole medie. In ogni caso si possono contrattare le regole, dicendo ai figli che i genitori vedono cosa fanno on line”. Comunque, oltre ai genitori, “spetta anche alle scuole aiutare i ragazzi a capire quali sono le minacce e come affrontarle”. L’età più critica, secondo Riva, è intorno ai 13 anni: “Gli adolescenti timidi e isolati possono trovare nella sfida una rivalsa. Soprattutto i maschi“. I campanelli d’allarme? “L’uso continuo del cellulare, soprattutto l’indisponibilità a mostrare i contenuti. Ma l’accesso ai social apre un mondo in cui è effettivamente facile perdere il controllo. Si tratta di strumenti che spingono molto al confronto sociale. E i ragazzini, che non hanno contezza della manipolazione delle immagini, possono ritrovarsi ad avere la sindrome del pulcino nero. Avere un senso inadeguatezza, depressione ee disturbi alimentari”.

Per approfondire l’argomento è possibile contattare il CEFAM – Centro Europeo Formazione Accoglienza Minori allo 3400088431 oppure scrivendo all’indirizzo mail cefam@coopaibc.it per fissare un incontro.