Un accesso precoce alla tecnologia, senza controllo, porta i bambini a conoscere la pornografia in maniera precoce e non graduata. Serve instaurare con loro una vera relazione che sia trasmissione di senso e di identità
Figli, strumenti tecnologici, pornografia, educazione… È su questi temi cruciali che si incentra un interessante intervento della psicoterapeuta Vittoria Maioli Sanese, fondatrice del consultorio Familiare Ucipem di Rimini, intervistata da Stefania Garassini per Noi Famiglia & Vita, supplemento mensile del quotidiano Avvenire.
Lo spunto della lunga riflessione nasce dalla constatazione di come il consumo della pornografia sia sempre più precoce e come questo nasconda, in realtà, una situazione di disagio più generale, che coinvolge genitori ed equilibri familiari.
Se tutto è dovuto…
«Oggi – si legge nell’intervista – per i ragazzi fin da quando sono molto piccoli tutto diventa accessibile, usufruibile, senza problemi e senza fatica. Si sono eliminate le barriere, i confini. Ogni cosa è sullo stesso piano”. Questo provoca disorientamento nei ragazzi, ai quali spesso manca la figura di un adulto che sia in grado di guidarli e introdurli al senso delle cose.
Il problema della sessualità si inserisce in questo quadro, ed è un problema molto serio perché è proprio attraverso la sessualità, l’esperienza del proprio corpo, del piacere, che si trova il fondamento dell’identità.
Quello che si sta perdendo, precisa la dottoressa, è la gradualità dell’accesso a questi argomenti: tutto viene anticipato e tutto è a disposizione del bambino in maniera non mediata dalla presenza di un adulto. Ci si trova così di fronte a “una crescita con discrepanze, disequilibri, con bambini estremamente evoluti sul piano intellettuale e delle prestazioni, ma con uno sviluppo psicologico che rimane quello di un’età molto inferiore”.
Tutto ciò porta con sé anche un messaggio intrinseco: il valore si trasferisce sul piano del “fare”. Si chiede al bambino di essere sempre all’altezza, facendolo crescere senza gli strumenti per tollerare frustrazioni e limiti di qualsiasi tipo”. Con parole molto forti Vittoria Maioli Sanese afferma che, questa, non è più una “educazione”, ma un “addestramento”.
L’accesso precoce a una pornografia senza controllo
In un contesto del genere si inserisce l’uso precoce della tecnologia, che porta i bambini ad avere il primo contatto con la pornografia già verso gli 8 anni. I genitori lasciano spesso i bambini da soli a esplorare un mondo che, dunque, si impone loro con totale immediatezza, senza quella “gradualità che dovrebbe seguire passo passo le età del bambino, i suoi interessi, il suo sviluppo psicologico, neurologico, la sua mente, i suoi sentimenti”.
Ancora una volta è come se l’educazione venisse ridotta alla pura acquisizione di capacità, facendo scivolare il sesso a un piano di sola performance e abilità. “Abbiamo strappato la sessualità dal suo fondamento radicato nell’identità del soggetto – sottolinea la psicoterapeuta – e l’abbiamo ridotta a comportamento da imparare, da eseguire. La cosa più importante sembra essere dare ai ragazzi il diritto e le possibilità delle loro esperienze in maniera sempre più precoce, senza rendersi conto che si sta mettendo nelle loro mani qualcosa che appartiene a una profondità della vita, al mistero insondabile del nostro io, a un’identità che non ci siamo inventati noi”.
L’opportunità di una relazione “vera”
Ma anche davanti a questa deriva si apre la strada dell’opportunità, perché un ragazzo che accede a immagini pornografiche da solo e si accorge che c’è qualcosa che non va, offre all’adulto disposto a farsi carico delle sue domande una risorsa: la possibilità di instaurare una relazione vera, interpersonale, che permette all’altro di sperimentare di essere persona. “Credo – conclude l’intervista – che la differenza la faccia proprio questo. Noi siamo relazione. Il vero cancro di oggi è offrire ai ragazzi un modello di relazione in cui devono poter fare sempre quello che desiderano, con gli altri lì soltanto per servirli… Un ragazzo così accede alla pornografia perché ha il diritto di fare quello che vuole. Ha avuto persone al suo servizio, è stato sempre accontentato. E questo distrugge l’io. Se invece offriamo un rapporto interpersonale in cui l’adulto si costituisce come guida e maestro, allora tutte le cose si affrontano. È fondamentale che i genitori si riapproprino della loro identità generativa, che è trasmissione di senso e d’identità.