E’ una fase particolarmente critica nel rapporto tra genitori e figli. Il “non più-bambino” avverte il cambiamento ed è meno portato ad “accontentare” i genitori, percorrendo i primi passi verso la conquista dell’autonomia
Come gestire un pre-adolescente ribelle? Questa è, infatti, una fase particolarmente critica nel rapporto tra genitori e figli. Il bambino avverte il cambiamento ed è meno portato ad “accontentare” i genitori, percorrendo i primi passi verso la conquista dell’autonomia. Ma cosa devono fare allora mamma e papà per non farsi sopraffare da questa momentanea “tempesta” emotiva? Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università degli Studi di Milano, intervistato dal sito specializzato in infanzia e adolescenza Nostrofiglio.it, ha stilato un decalogo comportamentale per i genitori.
In primo luogo, si spiega, bisogna capire che “il cambiamento fa parte della crescita ed è giocoforza che, con l’arrivo della preadolescenza, il figlio non sia più il bambino obbediente e sintonizzato sulle aspettative del genitore, come era fino a pochi mesi prima”. Ma non si deve “percepire il loro atteggiamento come una mancanza di affetto“, anche se per i genitori può essere doloroso. “L’amore – dice Pellai – non c’entra e non è messo in discussione, quel che il figlio sta cercando con questo suo comportamento è mettere una sorta di barriera di separazione dal genitore, quasi a voler sancire un processo fisiologico di differenziazione da lui”.
Un ulteriore consiglio è “interrompere la comunicazione se supera il limite”. “È un comportamento – dice ancora l’esperto – che ha un forte effetto su un ragazzo, che invece avrebbe proprio il desiderio di continuare a provocare o tenere alto il conflitto. Con il nostro comportamento invece passiamo il messaggio che siamo aperti al dialogo su tutto, ma con toni regolati, senza oltrepassare certi limiti e senza parolacce. E lo stesso ci impegniamo noi a fare con loro, perché il patto di non aggressività deve valere da entrambe le parti”. Dopo la tempesta, però, si può chiarire. “A quel punto – dice ancora Pellai – non ci mettiamo a fare prediche e non pretendiamo ‘dall’alto’ delle scuse, che sarebbero solo un gesto di obbedienza passiva. Chiediamogli piuttosto di ripensare alle parole che ci ha detto, di cercare di mettersi nei nostri panni per capire che cosa abbiamo provato. Potremmo anche scrivergli un biglietto da lasciargli alla sera sul cuscino, o, per essere più tecnologici, mandargli un whatsapp, in cui esprimere, sempre in maniera pacata, come ci siamo sentiti. In questo modo lo stimoliamo a rifletterci su, ad attivare un pensiero critico e sviluppare consapevolezza di quanto è successo”
Comunque sia, i genitori non devono avere paura di dire di no. “In tal caso – spiega ancora il medico – è fondamentale che mamma e papà si facciano vedere alleati e coerenti tra loro, in modo da comunicare al figlio che l’adulto ha un progetto chiaro in mente, che sa quali sono è sì e i no da dire”. Ulteriori consigli sono: “tollerare la frustrazione del ragazzo per i nostri no“; “evitare strategie punitive, come il sequestro del cellulare” e “tenere presente che verso i 14 anni” questo periodo passa.
Quando invece i figli asseriscono di non essere capiti, bisogna essere dialoganti e, spiega ancora l’articolo, rispondere con una “controdomanda: ‘se credi che non riesca a comprenderti, aiutami a capire che cosa non riesco a capire di te, dimmi che cosa vorresti sentirti dire’. In questo modo sproniamo il ragazzo a tirare fuori i suoi bisogni e sviscerare aspetti che considera come incompresi“. Il ragazzo a volte potrebbe affermare di essere sfavorito rispetto ai suoi fratelli e sorelle. In questo caso il consiglio è di tenere un atteggiamento di apertura, di modo che il figlio non vede un genitore rigido ma propenso ad ascoltare.
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