Continui rimproveri e mancata collaborazione con i servizi? Il giudice può decretare lo stato di abbandono

Ricorre “la situazione di abbandono in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi […], qualora a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico”

Qualora un genitore non si occupi della cura quotidiana dei figli, trascuri e sia incapace di attendere ai loro bisogni e si rivolga a loro esclusivamente con il rimprovero, potrebbero esserci tutti gli elementi per il giudice per decretare lo stato di abbandono del minore e la sua conseguente adottabilità.

Questo è quanto sembra emergere da una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 23802/2021)

La Suprema Corte, nello specifico ha confermato la decisione del Tribunale dei Minori e della Corte di Appello di Palermo di rendere adottabili tre minori verso i quali la mamma aveva i comportamenti sopra descritti, non dimostrandosi oltretutto collaborativa con i servizi sociali e per i quali papà e nonne non avevano mai dimostrato interesse.
Nel ricorso la madre lamentava la nullità della sentenza di appello in base al motivo che la Corte d’Appello non aveva sufficientemente motivato la decisione e non aveva in particolare svolto una CTU, in particolare una consulenza psicologica sulla capacità della madre, anche se la richiesta era stata fatta in corso di causa.

La Corte di legittimità, precisando che i giudici non hanno l’obbligo di ammettere necessariamente la CTU quando fondino la propria decisione su altri mezzi di prova o indizi, ha considerato sufficienti le motivazioni ricondotte alle relazioni degli altri esperti che hanno avuto contatti sia con il bambino che con i suoi genitori, come il caso dei servizi sociali – organi dell’Amministrazione – e degli operatori della comunità in cui sono collocati i bambini.

La Corte di legittimità ha dunque confermato la correttezza della decisione dei giudici di merito ritenendo che questi avessero correttamente motivato e fondato la propria decisione in base alle relazioni degli operatori della comunità in cui erano collocati i minori e che erano agli atti, dove si dava atto che “la madre era incapace di prendersi cura dei propri figli e specificamente di accudire la più piccola, S., e che si relazionava con loro solo con il rimprovero, senza ascoltare i loro bisogni e mostrava un atteggiamento svalutante durante le visite, inficiando così il lavoro svolto dagli operatori sui minori e incidente sulla autostima della figlia ; la stessa, oltre a squalificare il marito davanti ai figli, non si rendeva conto delle gravi crisi respiratorie delle figlia J. ; la stessa, dopo la nascita di uno dei figli non si era più presentata agli appuntamenti fissati dal Consultorio e nel riprendere i contatti, continuava a non ammettere le proprie carenze genitoriali”

In particolare la Suprema Corte richiamando una precedente pronuncia della stessa Cassazione (n.1883/2019) ha ricordato che sussiste “la situazione di abbandono in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi […], qualora a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico, cosicché la rescissione del legame familiare risulti infine l’unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio e assicurargli assistenza e stabilità affettiva.”