Rapporto genitori-figli: meglio punire o lasciar perdere?

Il rendimento scolastico, vera e propria dannazione nel rapporto genitori-figli: siamo così certi che il modello educativo basato sul premio e sulla punizione sia veramente quello giusto?

Punire o abbozzare? Questo è il dilemma genitoriale che si pone Antonio Polito in un articolo su Sette, del Corriere della Sera.

Certo, il ruolo di genitore non è semplice: educare, insegnare con autorevolezza ed amore e anche per questo, quando serve con decisione…

Ci sono volte che hai paura, pensi che spezzare una volontà, umiliarla per punire un errore, sia più pericoloso che provare a piegarla, nonostante il tempo e la fatica che comporta, e la elevata probabilità di insuccesso –  scrive Antonio Polito – Ma il cuore sanguina nel vedere la sofferenza di chi, a quella età, è spasmodicamente impegnato in un gioco di “mosca cieca” con la vita per formarsi un’identità, ed è angosciato dal rischio di non farcela”.

Altre volte non li riconosci più. Non ti ascoltano. Sembra impossibile comunicare e allora ti fanno rabbia: “nessuna via di accesso per entrare nel loro essere, che non molti mesi fa ancora si abbandonava completamente tra le tue braccia, e ti si arrampicava sulle spalle per vedere il mondo dalla tua altezza – racconta Polito, mentre ora sono così – spaventati e insieme incantati da ciò che gli succede da aver vergogna di parlarne, una disperazione che dissimulano con l’orgoglio”.

Ma siamo così certi che il modello educativo basato sul premio e sulla punizione sia veramente quello giusto?

Ciò che è certo, riflette Polito, è che “Nessun ragazzo seguirà un consiglio se non si sente amato senza condizioni dall’educatore che glielo sta dando. Specialmente quando riguarda il rendimento scolastico, vera e propria dannazione nel rapporto genitori-figli” .

E conclude citando Natalia Ginzburg: “Non dobbiamo lasciarci prendere, noi genitori, dal panico dell’insuccesso. I nostri rimproveri devono essere come raffiche di vento o di temporale: violenti, ma subito dimenticati. I nostri figli, noi siamo là per consolarli, se un insuccesso li ha addolorati; siamo là per fargli coraggio, se un insuccesso li ha mortificati. Siamo anche là per fargli abbassare la cresta, se un successo li ha insuperbiti. Quello che deve starci a cuore, nell’educazione, è che nei nostri figli non venga mai meno l’amore alla vita, né sia oppresso dalla paura di vivere”.