Nell’ipotesi in cui i servizi non si attivino per far rientrare il minore dato in affidamento, una volta accertato il superamento delle difficoltà materiali che sono state alla base dell’adozione di tale misura, il tribunale non può legittimamente decidere per la decadenza della responsabilità genitoriale, anche se il reinserimento risulti problematico
Nell’ordinamento italiano, come in tutti gli ordinamenti di Paesi di matrice culturale europea e nel sistema internazionale di protezione del minore, i provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità possono essere legittimamente adottati solo in presenza di un serio pericolo che la permanenza del minore nella propria famiglia di origine lo esponga a un pregiudizio grave e concreto.
Ciò non sulla base di una valutazione incentrata solo sul pericolo di un pregiudizio attuale, ma anche futuro, attraverso una valutazione che deve avere riguardo alla gravità delle conseguenze che le condotte dei genitori hanno determinato, o rischiano di determinare, nel minore.
Il controllo sui genitori
Per questo motivo l’ordinamento giuridico prevede un controllo sulla condotta dei genitori affinché la responsabilità genitoriale si realizzi in corrispondenza agli scopi per cui è loro attribuita, con la conseguenza che, in caso contrario, cioè “quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio” il giudice può dichiararne la decadenza.
Anche in questo controllo si realizza il supremo interesse del minore poiché l’uso della responsabilità genitoriale può essere messa in discussione se non è in sintonia con le esigenze del minore e la stessa funzione educativa dei genitori, come il mantenimento stesso, deve svolgersi avendo riguardo alla necessità e alla personalità del figlio.
Tuttavia, gli interventi della pubblica autorità in situazioni così delicate come l’allontanamento dei figli dalla famiglia richiedono procedure organizzate e competenze elevate.
L’Ordinanza della Suprema Corte n. 33147/22 ribadisce alcuni orientamenti consolidati della Cassazione, ma apporta un elemento di novità su cui vogliamo soffermarci.
Il caso di una bambina
La vicenda riguarda una minore allontanata dalla famiglia all’età di due mesi con il consenso dei genitori, a causa delle condizioni precarie di vita in cui si trovavano e collocata in affido etero familiare.
Il Tribunale aveva incaricato i servizi sociali di svolgere tutti gli accertamenti e gli interventi finalizzati al progressivo riavvicinamento della bambina alla famiglia d’origine in previsione di un suo definitivo reinserimento. Tuttavia, la situazione si complicava a tal punto che l’affido veniva prorogato anche per le difficoltà dei rapporti tra la bambina e i genitori biologici. Al contrario la situazione materiale della famiglia biologica migliorava notevolmente con il reperimento di un’abitazione idonea e un lavoro regolare, inoltre il CTU incaricato aveva dichiarato che il rientro in famiglia, supportata da un percorso di sostegno psicologico, fosse la soluzione migliore per la bimba.
Il tentativo di reinserimento non riuscì e la situazione si complicò ulteriormente sino a giungere alla dichiarazione di decadenza della responsabilità genitoriale e l’affido sine die della piccola alla famiglia affidataria; decisioni confermate anche in sede di appello non accogliendo la Corte di secondo grado, le eccezioni dei genitori biologici che eccepivano il mancato accertamento della violazione e della trascuratezza dei doveri genitoriali o l’abuso dei relativi poteri con grave pregiudizio della figlia, che sono il presupposto per l’emissione di un tale provvedimento.
La questione giunge quindi in Cassazione e la Corte, come anticipato, ricorda alcuni principi giurisprudenziali già noti quali la necessaria temporalità limitata dell’istituto dell’affido e i presupposti necessari per l’emissione di un provvedimento di decadenza, i quali devono essere ogni volta verificati, cosa che non viene ravvisata nel procedimento impugnato.
L’inerzia dei sevizi sociali
Ma accanto a questi principi individua l’inerzia dei servizi sociali che non si sono attivati in modo adeguato per attuare le misure disposte dal tribunale, impedendo l’effettivo rientro della bimba nella famiglia d’origine.
La novità della decisione è da rinvenirsi nella previsione che nell’ipotesi in cui i servizi non si attivino per far rientrare il minore dato in affidamento, con il consenso della famiglia d’origine, una volta accertato il superamento delle difficoltà materiali che sono state alla base dell’adozione di tale misura, il tribunale non può legittimamente decidere per la decadenza della responsabilità genitoriale, anche se il reinserimento risulti problematico.
In caso contrario, continua la Corte, si giustificherebbe il fatto che la semplice indigenza della famiglia d’origine possa giustificare a sua volta, che l’allontanamento, deciso consensualmente, si trasformi in una situazione definitiva a seguito delle difficoltà economiche dei genitori biologici e di quelle del minore stesso reinserito, in parte attribuibili anche alla condotta della famiglia affidataria.
La decisione sulla decadenza infatti, si fonda quasi esclusivamente sulle difficoltà psicologiche della bambina (comprensibili se non si modifica la situazione di fatto che le determina) e sulla sua incapacità di relazionarsi con i genitori biologici.
Tutto ciò, conclude la Corte è stato determinato dalla inerzia dei servizi sociali che non hanno attivato tutti quegli incontri, modalità e attenzioni dovute, a fronte di una valutazione favorevole sui genitori biologici da parte della ctu.
Il servizio pubblico posto a fondamento e tutela della civile convivenza deve agire in sinergia con tutti i soggetti coinvolti e nel caso della tutela dei minori, deve porre in essere tutto quanto è in suo potere e necessario per evitare non solo di fare fallire l’intervento protettivo, ma di peggiorare lo stato del minore, anche solo allungando i tempi risoluzione dell’intervento stesso.