Cyberbullismo. Come possiamo noi genitori aiutare i nostri figli quando ne sono vittime?

Buongiorno, sono una mamma di una ragazzina di 15 anni. L’altro giorno, rientrata a casa dopo essere uscita per fare una commissione, ho notato subito che c’era qualcosa che non andava. Su mia insistenza mia figlia ha riferito che un paio di ragazzi incontrati per strada forse l’avevano fotografata con il cellulare per poi mettersi a ridere. Mi sono sentita di rincuorarla ma dentro di me provo ancora rabbia per quanto successo e vorrei “difenderla” meglio.

Non ho detto nulla a mio marito perché di certo non la prenderebbe bene. Come possiamo noi genitori aiutare i nostri figli quando accadono cose del genere?

Maria Paola

Gentilissima Maria Paola, purtroppo quanto da lei descritto è un fenomeno sempre più presente nella nostra società. L’avvento di nuove tecnologie e l’utilizzo da parte di persone sempre più piccole, fa si che ciò che potrebbe essere usato bene, venga usato “male”. Come ben descrive nella sua vicenda personale, è facile al giorno dopo scattare una foto e farle fare il giro del mondo in un istante, spesso con il fine di far ridere i destinatari, senza rendersi conto della sofferenza che il soggetto protagonista dello scatto possa provare. Tristi vicende di cronaca hanno messo in luce come il cyberbullismo venga utilizzato anche dagli adulti, per scopi vessatori, vendicativi e quant’altro.

Rimanendo nell’ambito adolescenziale, sicuramente per sua figlia è stato importante trovare la curiosità educativa della mamma. Un genitore deve allenare la sensibilità per arrivare, come lei ben ha fatto, ad intercettare quel qualcosa che non va nel proprio figlio. E’ una curiosità sana, alla quale deve aggiungersi l’intento educativo. Il suo è stato quello di rincuorare la figlia; le ha fatto sentire che non è sola e l’ha rassicurata. E’ sano provare in cuor suo rabbia. Essa va però incanalata nella giusta direzione.

Un primo passo potrebbe essere quello di sapere chi sono i due ragazzi dell’episodio. Spesso, quando i cyberbulli vengono identificati, si stupiscono dell’accusa, arrivando a vergognarsi di quanto commesso. Sembra non capiscano di aver commesso qualcosa di grave, che in alcuni casi è definibile come reato. Una telefonata ai loro genitori potrebbe aiutare; in alcuni sono gli stessi genitori ignari di cosa “combinano” i loro figlioli. Bene sarebbe monitorare ed educare i propri figli all’utilizzo delle nuove tecnologie, compreso quello dei social. Il verbo perfetto è proprio “condividere”! Non sto parlando di quella condivisione di contenuti tipica dei social odierni, ovvero ciò che passa sotto il termine di sharing. “Condividere” significa fare uno scambio in maniera consapevole e costruttiva. Tradotto nel nostro caso vuol dire stare con il proprio figlio a parlare, formare, educare sull’utilizzo di uno strumento o di un social. Un genitore deve conoscere molto bene ciò che appassiona il proprio figliolo; solo così potrà fare un ottimo lavoro mettendone in luce le peculiarità positive e i possibili rischi.

Infine, capisco che nel suo caso non abbia voluto coinvolgere il marito in quanto teme la sua reazione. Come le dicevo, è normale provare rabbia e un sentimento di farsi giustizia. Corretto però sarebbe intervenire nei casi più gravi attraverso una denuncia alla Polizia Postale. In taluni casi potrebbe essere necessario avvalersi di un avvocato. Infatti, è possibile chiedere al cyberbullo e alla sua famiglia, nel caso di minore età, un risarcimento economico per i danni biologici e morali subiti. Vi sono anche conseguenze penali per chi ha più di 14 anni.

La invito pertanto ad approfondire l’argomento, contattandoci per un incontro gratuito allo 3400088431 o scrivendo una mail a cefam@coopaibc.it.

Diego Moretti

Pedagogista di AIBC cooperativa sociale e responsabile d’area per i Servizi di sostegno alla famiglia offerti dal CEFAM – Centro Europeo Formazione Accoglienza Minori