L’empatia nei figli: che ruolo possono avere i genitori?

L’empatia è quella fondamentale capacità di riconoscere l’altro come prossimo, per accoglierlo come tale e per riconoscersi a propria volta in lui

L’empatia, secondo la definizione della Treccani, è la “capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro”. Una capacità senza dubbio fondamentale per i rapporti personali e la vita, in generale, ma che non è intrinseca all’uomo per nascita e va insegnata ed educata attraverso gesti concreti.

Riconoscere l’altro come colui che mi viene dato come prossimo

A sostenerlo è la scrittrice, educatrice all’affettività e alla sessualità Inès de Franclieu in un articolo pubblicato sul sito Aleteia.org, nel quale sottolinea come l’atteggiamento di gioire del bene che l’altro vive o del rattristarsi del suo dolore siano l’opposto di quello che molti giovani sperimentano in una quotidianità in cui prevale indifferenza, diffidenza e gelosia.

Si tratta di un problema, perché l’empatia è salvifica nel suo permetterci di “riconoscere l’altro non come un predatore ma come colui che mi viene dato come prossimo, al quale mi avvicinerò e che si avvicinerà a me”. Per questo spetta al genitore educare il figlio a questo atteggiamento, riconoscendo, senza lusinghe, le qualità di ciascuno, ma anche evidenziando i punti deboli senza soffermarsi su di essi e facendo sì che ciascuno si percepisca responsabile della crescita di tutti.
Il concetto cardine è la consapevolezza di non trovarsi al mondo per caso, ma di essere stati scelti da Dio per “crescere insieme nella verità”.

Il ruolo fondamentale dei genitori

“Spetta ai genitori – prosegue Inès de Franclieu – educare lo sguardo sull’altro, permettere a ciascuno di essere ciò che è, con le sue qualità e le sue fragilità. L’armonia sarà vissuta in una famiglia quando la persona più competente si metterà al servizio di chi non capisce qualcosa”.
Perché in famiglia si cresce tutti insieme, consapevoli che le debolezze di ciascuno possono trovare nell’altro comprensione e umanità: “È la semplicità dei più piccoli che fa crescere il cuore dei grandi, è la malattia che apre il cuore dell’altro alla sofferenza”. Senza questa esperienza, il pericolo è di ricadere in un “desiderio di onnipotenza” che porta a maltrattare l’altro. Senza capire che, in questo modo, diventare “solidali con i più fragili” non è che la scappatoia di chi non capisce che la vera umanità c’è solo nel reciproco riconoscimento.