Nel nostro ordinamento manca una norma che disciplini la revoca della volontà della madre biologica di rimanere anonima. L’intervento della Corte Di Cassazione
Cosa accade se un figlio, abbandonato alla nascita, abbia desiderio di conoscere le sue origini? Può interpellare la madre per conoscerne il nome? E la madre ha facoltà di revocare il proprio diritto all’anonimato espresso al momento del parto?
Iniziamo con il dire che, come la madre che voglia rimanere anonima al momento del parto, ha diritto di farlo, il diritto del figlio a conoscere le proprie origini ha ricevuto ampio riconoscimento sia a livello nazionale che internazionale, ma deve essere sempre mediato dal Tribunale per i minorenni, cui va presentata un’ istanza di accesso agli atti. A questa istanza seguirà una verifica del caso concreto per accertare se la volontà della madre sia o meno quella di rimanere ancora anonima.
Premesso ciò, nel nostro ordinamento manca una norma che disciplini la revoca della volontà della madre biologica di rimanere anonima.
La Corte Costituzionale nella sentenza 278 del 2013, stimolando il legislatore a porre rimedio a questa lacuna, ha affermato la necessità di realizzare un contemperamento tra i “due diritti” (quello della madre e quello del figlio) sottolineando l’eccessiva rigidità dell’art. 28 comma 7 legge n. 184/93 che a fronte della richiesta del figlio, non consente alla madre di revocare la sua scelta di non essere nominata, all’interno di un procedimento improntato alla massima riservatezza.
Ma cosa accade se la madre interpellata dal figlio versi in stato di incapacità?
In tal caso il discorso cambia. Il diritto alla riservatezza della madre prevale su quello del figlio di conoscere le proprie origini, nel caso in cui la donna versi in stato di incapacità, anche non dichiarata e non sia in grado di revocare validamente la propria scelta (Cass. 22497/2021)
Sulla stessa linea è anche la sentenza n. 7093/2022 dalla quale si apprende dei precedenti richiami della Corte Costituzionale (2013) e di Cassazione (2021).
Nel caso specifico la madre biologica interpellata, dopo 40 anni dal parto, aveva dimostrato una grave compromissione delle facoltà cognitive e volitive, avendo rimosso anche l’evento della nascita, motivo per il quale la Corte di merito aveva rigettato il ricorso del figlio, decisione riconfermata anche dalla Corte di Cassazione.
Le condizioni della donna, infatti, non le consentirebbero di esprimere una valida revoca della volontà di non essere nominata, dichiarata al momento del parto.