Il PIPPI: un progetto sperimentale per evitare l’istituzionalizzazione di minori con famiglie in difficoltà

Avviato nel 2011-2012, il suo acronimo richiama alla mente il celebre personaggio nato dalla fantasia della scrittrice svede Astrid Lindgren

Un progetto per aiutare i genitori in difficoltà, senza allontanare i loro bambini. Questo è l’obiettivo fondamentale del PIPPI (Programma di intervento per prevenire l’istituzionalizzazione), un progetto sperimentale che costituisce “la più ampia sperimentazione nel campo delle politiche sociali per i minori in difficoltà realizzata nell’ultimo decennio in Italia”, come l’ha qualificata su Avvenire il giornalista Luciano Moia. E non è un caso che l’acronimo richiami alla mente il personaggio nato dalla penna della scrittrice svedese Astrid Lindgren, Pippi Calzelunghe, protagonista di una fortunata serie televisiva.

“Avviato nel 2011-2012 – spiega ancora Moia nell’articolo già citato – con l’adesione di dieci città metropolitane, il progetto è arrivato nel 2018-2019 a un’estensione di 250 ambiti territoriali e al coinvolgimento di 2.500 famiglie. Tanti i dati interessanti. Solo la metà dei bambini vive con entrambi i genitori (52%). Nel 42% dei casi è presente solo la madre. All’inizio dei progetto il 6% dei bambini viveva fuori dalle famiglie d’origine, presso strutture residenziali o in affido familiare. La maggior parte dei piccoli sostenuti dal progetto hanno tra i 6 e i 10 anni (54,4%), poi tra gli 11 e 13 (20%) e tra i 3 e i 5 (15,1%)”.

“Il progetto – prosegue il giornalista – ha permesso anche di stilare una tabella delle singole vulnerabilità familiari. Per la maggior parte delle famiglie il dramma più rilevante è rappresentato dalle condizioni economiche (66,4%). Seguono il disagio psicologico (62,1%), la conflittualità di coppia (44,6), l’assenza di uno o di entrambi i genitori (37,2), l’emarginazione sociale (36,8), l’abitazione (36,4), i comportamenti devianti (26), la disabilità (25), le dipendenze (17,6). Quasi in fondo alla classifica i maltrattamenti (9,6) e gli abusi, o sospetti tali (3.3). Di fronte a un quadro così complesso a quali risultati si è approdati? Il miglioramento delle relazioni familiari e la riduzione della violenza domestica sono considerate ‘statisticamente significative’. Complessivamente nel 54% dei casi si è notato ‘un alleggerimento degli interventi’ da parte dei servizi. Mentre nel 27,1 è stato necessario un ‘rafforzamento’. Nel 7,6% l’accompagnamento si è concluso perché la situazione è migliorata, mentre in 5 casi su 100 la famiglia ha interrotto il progetto. Soltanto il 2% i bambini allontanati dalle famiglie”.

Numeri che fanno ben sperare.

Chiunque volesse approfondire può contattare il CEFAM – Centro Europeo Formazione Accoglienza Minori al numero 3400088431 oppure scrivendo all’indirizzo mail cefam@fondazioneaibi.it.